“Buongiorno! Come va?”, esordisce al telefono Tom Rowlands dei Chemical Brothers, con il suo italiano dall'accento inglese e una simpatia e un’empatia che colpiscono fin da subito. Il musicista inglese, insieme al suo sodale Ed Simons, è pronto a recuperare i concerti posticipati più volte a causa della pandemia e rimandati all’estate 2022. Della serie di show che il duo di musica elettronica terrà nei prossimi messi, fano parte anche quattro spettacoli in programma in Italia. Nel nostro Paese i due artisti inglesi si esibiranno il 7 luglio 2022 all’Ippodromo San Siro nell’ambito del Milano Summer Festival, l’8 luglio 2022 all’Ippodromo Capannelle per Rock in Roma, il 9 luglio 2022 all’Arena Parco Nord di Bologna e il 14 luglio a Bari.
E come raccontato da Rowlands dal suo studio in un paese a sud di Londra, dove vive, i prossimi concerti italiani del duo non saranno solo un’occasione per rivedere Tom ed Ed di nuovo in azione nel nostro Paese, soprattutto a Bologna dove mancano da diversi anni. Gli show saranno infatti anche l’opportunità di ascoltare nuova musica dei Chemical Brothers. La pandemia non ha posto limiti alla creatività dei due musicisti, che ora non vedono l’ora di "suonare i nuovi pezzi dal vivo”.
Il prossimo luglio i Chemical Brothers torneranno in Italia per quattro spettacoli, dopo quasi tre anni dagli ultimi show nella Penisola. Come sarà tornare in Italia?
Tom Rowlands: L’Italia è un paese che ci sta particolarmente a cuore, dove ci piace venire a suonare. Abbiamo suonato molto in Italia, sia per dj set o live show, e nel corso degli anni ci siamo fatti anche molti amici. Sarà bello tornare per recuperare i concerti che sono stati posticipati più volte. Erano già stati rimandati dal 2020 alla scorsa estate, e poi non si sono tenuti. Ora, siamo carichi ed entusiasti di tornare. Abbiamo lavorato su nuova musica e stiamo lavorando su nuovi elementi per gli show dal vivo. Finalmente torniamo a fare ciò che ci piace fare, in grado anche di unire le persone. Sarà per tutti un’occasione di liberazione e divertimento.
La pandemia ha tenuto voi, così come molti altri artisti, lontani dai palchi per due anni e l'anno scorso vi siete esibiti in qualche festival. Come avete vissuto il periodo senza poter suonare live?
Tom Rowlands: Il nostro ultimo passaggio in Italia risale al 2019, in quell’anno abbiamo pubblicato l’album “No Geography” e il tour legato al disco è stato incredibile e abbiamo fatto dei bei concerti. Poi la pandemia ci ha fermato ma mi sembra riduttivo parlare di come il Covid abbia influenzato le nostre vite e ciò che facciamo. Perché ci sono state altre persone che hanno vissuto davvero momenti difficili rispetto a noi. Per colpa della pandemia noi non siamo stati in grado di andare in tour, ma abbiamo continuato comunque a lavorare in studio, ad andare avanti. Abbiamo solo avuto molto tempo per pensare meglio a come presentare i nostri show e per lavorare su nuove canzoni che vogliamo suonare ai live. Conosco persone le cui vite, invece, sono state completamente stravolte dalla pandemia. Ora noi siamo qui a pensare al prossimo palco su cui saliremo e abbiamo la possibilità di recuperare i concerti promessi molto tempo fa.
Cosa può aspettarsi il pubblico italiano dai vostri prossimi show?
Tom Rowlands: Durante i concerti che faremo in Italia questa estate suoneremo dal vivo nuova musica. Al momento stiamo lavorando a un album ma siamo lontani ancora da una realizzazione vera e propria di un disco. Le canzoni che suoneremo sono pezzi non ancora pronti per una pubblicazione, che stiamo ancora definendo. Questa è sempre stata una cosa determinante della nostra band. Non suoniamo mai solo vecchi pezzi ai live, vogliamo proporre sia brani del passato, scritti 20 o 25 anni fa, e musica che abbiamo scritto la settimana prima, per esempio. Per noi, è durante i live che accadono cose interessanti. Due tipi di idee e mondi si scontrano, ma è naturale. È come una sfida, per noi e quindi portiamo sempre cose nuove su cui stiamo lavorando nei set live. Sicuramente le persone che ci verranno a sentire quando verremo a suonare in Italia ascolteranno dal vivo anche musica che non hanno mai sentito.
Come confermato dal vostro precedente tour legato all’album “No geography”, gli show dei Chemical Brothers sono sia concerti di grande musica elettronica suonata dal vivo che spettacoli dal forte impatto visivo, diventando per il pubblico delle esperienze immersive. Per i vostri prossimi show, su quali elementi sonori e effetti visual vi state concentrando maggiormente?
Tom Rowlands: Il lavoro per i concerti è sempre guidato dai nostri brani e dalla nostra musica. Per progettare uno show invitiamo sempre le persone che lavorano con noi all’aspetto visivo in studio per far ascoltare loro su cosa stiamo lavorando musicalmente. Poi tutti insieme raccogliamo idee. Al momento ci si è concentrati a lavorare su diverse tecniche di riprese, con alcuni coreografi e alcuni attori. Ci piace realizzare nuovi filmati per creare la narrazione di uno spettacolo. La musica è ciò che sprona tutto il processo comunque. Non voglio rivelare ciò che abbiamo in mente, posso sicurare che abbiamo trovato nuovi colpi di scena e nuovi espedienti per sorprendere il pubblico. Io, Ed e tutta la squadra stiamo lavorando molto e sperimentando per creare qualcosa di fresco ed entusiasmante.
Qual è l'obiettivo a cui mirate nel preparare gli show?
Tom Rowlands: Ciò a cui miriamo è sorprendere. In uno show live le cose non vanno sempre e matematicamente allo stesso modo, è difficile stabile una regola generica. E forse questa è proprio la forza della musica dal vivo, una sorta di esperienza trascendente. Noi puntiamo sempre a creare una connessione con gli altri, è quella la bellezza a cui miriamo. Quando lavoriamo a uno spettacolo dal vivo, è come se volessimo creare quel momento in cui la musica rapisce, sovrasta e riesce a sopraffare. Per me l'esperienza giusta per un concerto perfetto è quando c'è una certa dimensione collettiva. Per un artista è incredibile avere la percezione e la sensazione di poter trascinare e portare le persone ovunque con la musica. Questo è qualcosa di speciale, impossibile da replicare, ogni volta è diverso. Ma quello a cui miriamo è la connessione tra noi, gli artisti, e il pubblico.
Dai vostri ultimi concerti in Italia prima della pandemia, poteva nascere nel pubblico - com’è successo a chi scrive - la sensazione di venir catapultati in un nuovo mondo, senza coordinate geografiche, ma si poteva leggere una connessione nella narrazione di storie diverse e tra vari personaggi.
Sul palco io sento come se accadesse qualcosa di strano: in alcuni momenti vorrei fare una cosa e allo stesso tempo quasi dimenticare dove mi trovo. Ed è come se mi dimenticassi dove sono, ma sono anche connesso con tutto ciò che accade e con tutte le persone intorno a me. Quindi non è come se mi stessi disconnettendo da tutto, ma semplicemente divento sempre più concentrato sull’esperienza e consapevole di ogni suono o sensazione. È bello sapere che al pubblico arriva in quel mondo un nostro show. È ciò a cui miriamo.
Considerando la vostra esperienza e la vostra importante e lunga carriera, come pensate sia cambiato negli anni il modo di fare concerti, soprattutto di musica elettronica?
Per noi è sia cambiato notevolmente che per niente. È come se fossimo ancora guidati dallo stesso impulso degli inizi, di quando suonavamo in piccoli club, con le nostre drum machine e il resto. Cercavamo già la stessa intensità travolgente anche suonavamo nel seminterrato di un pub. Puntiamo ancora a creare quel tipo di esperienza per coinvolgere il pubblico, anche se ora per il palco del festival di Glastonbury o eventi di quelle dimensioni. Da sempre lavoriamo com Adam Smith per creare i visual e ogni elemento visivo per la nostra musica, quindi anche per i nostri concerti dal vivo. Prima realizzavamo tutto con la sua piccola telecamera da otto millimetri o su piccoli schermi. Ora è solo di tutt’altre dimensioni.
Prima di raggiungere i traguardi e l'importanza a cui sono arrivati i Chemical Brothers, voi, Tom Rowlands e Ed Simons, avete iniziato nei club a suonare come dj.
Tom Rowlands: Il mio background è differente dalla strada che ho poi intrapreso. Prima, durante i tempi della scuola, suonavo in alcuni gruppi la chitarra. Quindi partivo da un approccio da musicista e poi mi sono appassionato a fare il dj. La prima volta che ci venne chiesto di fare un dj set fu per il locale di Andrew Weatherall, un club techno in voga di Londra. Lui ci chiese di fare un dj set e noi all’inizio dicemmo: ‘No, non possiamo fare i dj. Non siamo dj. Suoniamo dal vivo. Possiamo suonare dal vivo’. Quindi, eravamo più fiduciosi nelle nostre abilità nel suonare dal vivo che come dj. Poi a quel tempo c’erano artisti come Richie Hawtin e Andrew Weatheral (scomparso nel 2020 a 56 anni, ndr) - un dj fantastico.
Con il tempo l’attenzione e la percezione dei media e del pubblico è cambiata nei confronti dei dj, riconoscendone sempre di più il valore artistico. Cosa ne pensi di questo cambiamento?
Tom Rowlands: Fare i dj è una parte davvero importante del nostro lavoro e si nutre davvero della musica. Poi, ci sono un sacco di pessimi dj in giro e se indaghi scopri che ci sono musicisti di basso livello. Quando ascolti un grande dj sai che c’è dietro un lavoro difficile. È facile suonare i dischi che suonano tutte le altre persone e fare un set standard come chiunque. Ma essere una voce individuale e suonare nuova musica, introdurre idee diverse, è ciò che ti rende un grande dj per cui le persone ascoltandoti pensano: ‘Capisco perché è un grande dj’. Intendo dire che la situazione è un sali e scendi, indipendentemente dal fatto che le persone lo riconoscano. È comunque bello quando alle feste con gli amici qualcuno che suona trova la canzone giusta per il momento. Questa è un'abilità da avere.
Con la ripresa dei grandi eventi dal vivo dopo la pandemia, anche i Kraftwerk sono tornati in tour. Loro sono sempre stati tra le vostre grandi influenze. Come mai sono ancora così importanti e influenti per la vostra musica e non solo?
Tom Rowlands: Ricordo ancora quando da ragazzo ascoltavo “Computer world” (“Computerwelt”, nell'edizione tedesca, ndr.) dei Kraftwerk e mi portava dentro un mondo diverso. Tutto era fatto alla perfezione. Era raffinato e sofisticato, ma anche funky e fresco. Sono ancora rinomati e prestigiosi perché i loro album, alcuni dei quali usciti anche 50 anni fa, suonano ancora come se nessun altro possa fare un disco così. Le melodie e il suono sono belli come se fossero perfezione. Quando ascolti, per esempio, un pezzo come "Numbers" senti le basi per l’hip hop. Ogni volta che cerchi un’ispirazione e quella sorta di sensazione che può spingerti oltre in quello che fai e sforzarti a lavorare di più per un certo tipo di suono, ascolti quei dischi e sai che c’è molto altro ancora da fare. Abbiamo suonato qualche volta con i Kraftwerk e quando li abbiamo incontrati è stato un grande momento per noi. Ogni volta che ascolto i loro dischi ritrovo quella perfetta combinazione di melodia e suono.
Nel frattempo gli stessi Chemical Brothers sono diventati tra gli artisti più influenti nella musica elettronica.
Tom Rowlands: Grazie all’influenza di altri qualcuno scopre sempre artisti che prima non conosceva e così entra in contatto con altre influenze. È così che funziona. Quando ero ragazzo ascoltavo molto hip hop, e prima di quello non avevo mai ascoltato dischi funk. Non sapevo chi fosse James Brown, non avevo mai approfondito la sua musica. Poi ascoltando hip hop intorno agli Anni Ottanta mi si è aperto un mondo, ho scoperto il funk, il soul, grazie ai campionamenti. È così che ho imparato molto. Ecco perché mi piace capire da dove proviene la musica, come nascono le idee. Le idee vengono condivise tra le persone, che possono riproporle in nuovi contesti. Nel mio caso ci sono ascolti che includono sia hip hop o dj del Bronx che “Trans Europe Express” dei Kraftwerk, che insieme portano a ispirare la creazione di qualcosa di nuovo.
Come prende forma la musica dei Chemical Brothers? Di solito in studio come lavorano due produttori e grandi musicisti come Tom Rowlands e Ed Simons?
Tom Rowlands: Io passo tutto il tempo nel mio studio a scrivere brani. Ed vive a Londra quindi mi raggiunge qui e lavoriamo insieme. Magari a me viene in mente un’idea, poi ci ragioniamo e ci lavoriamo insieme per vedere se vale la pena continuare a concentrarsi su essa. In questo modo tiriamo fuori pezzi che possono confluire in un album. È sempre stato un processo lungo per noi. Credo che quando fai musica, prima di pubblicare qualcosa devi essere totalmente sicuro che suoni come vorresti. Il processo è lungo, ci sono dietro molti esperimenti, tentativi, errori. Proviamo sempre a lavorare in modi diversi, ad approcciarci al lavoro diversamente. Per me è come una sorta di puzzle. È come se io volessi sempre trovare il prossimo suono e cose così. Tuttavia, nonostante io ami lavorare in studio tutti i giorni, sono entusiasta di lasciarlo finalmente, chiudere la porta e tornare suonare dal vivo di fronte a un pubblico. Tutto quel lavoro in studio, in un certo senso, diventa reale e significa qualcosa quando viene suonato ad altre persone. Facciamo musica per condividerla con gli altri. Spesso quando siamo in studio ci immaginiamo un concerto o di suonare dal vivo.
Lo scorso anno è stato svelato già qualcosa della vostra nuova musica con la pubblicazione di “The darkness that you fear” e “Work energy principle”. Per il vostro nuovo materiale quale direzione musicale e suoni state esplorando?
Tom Rowlands: Sto lavorando in modo diverso da come ero abituato. Quando entro in studio mi piace lavorare su cose diverse. Magari per un paio di mesi mi concentro sulle batterie, come se tutto ciò a cui penso e che mi interessa fossero il ritmo, la creazione di suoni di batteria e l’esplorazione di modi diversi di registrarla. Poi, magari, dopo tipo un mese penso che tutti ciò che mi interessa sono le linee di basso e mi concentro su quello prima di passare ad altro. È come se mi fossi messo in testa di concentrarmi intensamente su ogni tipo di elemento individualmente per farmi un’idea di come suonano. Al momento è così che sto lavorando, non so se sia una buona idea ma lo scopriremo. Ma per me è interessante mettere insieme poi cose diverse. Penso che nella musica dei Chemical Brothers ci sia sempre stata una sorta di coerenza nelle atmosfere e nelle sensazioni, è ancora motivata dagli stessi impulsi dei nostri primi dischi e delle nostre prime esperienze musicali. Di più non so dire, non sono brano ad analizzare quello che faccio. Non riesco troppo a fermarmi per cercare di capirlo. Sento che un'analisi eccessiva di ciò che fai possa essere un’interruzione. Preferisco basarmi solo sull'istinto e sulle sensazioni legate alla musica e non cercare di capire troppo quello che sto facendo.
I Chemical Brothers hanno all’attivo collaborazioni con molti artisti ascrivibili a generi musicali diversi, dalla musica elettronica al pop, fino a star del rock come Noel Gallagher. Qual è l’importanza delle collaborazioni?
Tom Rowlands: Le collaborazioni possono portare a momenti speciali e interessanti. Come quando avviene uno scambio di idee diretto in studio fra più persone, e qualcuno tira fuori qualcosa di inaspettato che porta a una svolta. È un continuo scambio di creatività.
Ci sono artisti con cui vorreste collaborare o tornare a collaborare in futuro?
Tom Rowlands: Ricordo quando abbiamo lavorato a New York con Q-Tip su “Galvanize”. Per il pezzo noi avevamo solo l’idea della parte vocale, ma lui ci ha lavorato su e alla fine non potevi credere a cosa era riuscito a fare. Mi piace questo della musica: vai in studio la mattina senza niente in mano e alla fine riesci a creare qualcosa che fino a due ore prima non esisteva. Con Q-Tip mi piacerebbe collaborare di nuovo, mi piace la sua voce e il suo modo di rappare.
Negli ultimi anni, con la pandemia, molti artisti hanno sperimentato varie formule di live stream. Cosa pensate degli show in streaming?
Tom Rowlands: Più volte ci è stato proposto di fare live stream. Qualche tipo di musica funziona bene su quel formato, per noi finirebbe per essere un surrogato di quello che facciamo. Ci abbiamo pensato, abbiamo provato a trovare il modo per realizzare un live stream. Ma non siamo mai giunti alla soluzione migliore. Alla fine non l’abbiamo comunque fatto, anche perché avremmo dovuto trovare un’idea diversa, non essendo un vero concerto.