“Per chi non aveva capito che era un gioco fu un sacrilegio, per chi invece aveva capito l’ironia fu una genialata”, avrebbe ricordato molti anni dopo l’esecuzione in tv, diventata a suo modo leggendaria, Nino D’Angelo. È il 1989 quando il cantante napoletano viene invitato da Red Ronnie a partecipare a un programma tributo ai Beatles. Sì, ai Beatles. Ma perché proprio Nino D’Angelo? Che c’entra la voce di “’Nu jeans e ‘na maglietta” con la leggendaria rock band britannica? Nino D’Angelo racconterà il suo legame – se di legame si può parlare – con John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr solo molti anni dopo. Il cantante partenopeo non lo sa ancora: ma quando sale sul piccolo palco dello studio televisivo dal quale va in onda lo speciale dedicato ai Beatles e sistema il leggio con il testo della canzone che deve cantare, sta per scrivere la storia.
“Gesù Crì”, destinata a diventare un capolavoro trash, è una riscrittura in napoletano di “Let it be”, una delle canzoni in assoluto più celebri del repertorio dei Beatles. Nino D’Angelo ne riscrive totalmente il testo, trasformando quello di Lennon-McCartney – il secondo rivelò che l’ispirazione per la canzone gli venne da un sogno nel quale aveva parlato con la madre Mary, morta quando lui aveva solo 14 anni, e quel “let it be”, “lasciar correre”, era un riferimento alle tensioni che all’interno dei Beatles stavano per far svanire l’incantesimo – in una vera e propria invocazione a Gesù: “Sta furnenn’ u monn’ / e nisciunu po’ fà nent’ / dacce tu na mano / Gesù Crì / Parraci d’a strat’ / addu’ a vita nunn’è chesta ccà / dacce n’atra luce / Gesù Crì”. Il ritornello è un cult: “Gesù Crì, Gesù Crì / Gesù Crì, Gesù Crì / torna n’atra vota / Gesù Crì”.
Nino ci crede. Canta la sua versione del classico dei Beatles con sentimento e trasporto, mentre sugli schermi dello studio televisivo vengono mostrate alcune immagini dei Beatles, le copertine dei loro dischi, le foto che ritraggono John, Paul, George e Ringo: “Dacc’ n’ato sole / dint’o jorn’ ca sta ppè venì / salvace ‘a stu male / Gesù Crì / salva sti criaturi / a sti mamme / stendime na mano / Gesù Crì”. E alla fine, in un clima che sembra surreale, si prende pure gli applausi del pubblico dello studio della trasmissione condotta da Red Ronnie.
A proposito del suo rapporto con i Beatles e di quella bizzarra cover di “Let it be”, nella sua biografia “Il poeta che non sa parlare” Nino D’Angelo racconterà:
“Ogni anno alla festa della mamma, nel teatrino della parrocchia, si facevano delle recite. In una di queste occasioni a organizzarla venne un frate cappuccino di nome padre Raffaello. Per poter scegliere gli attori e i cantanti radunò tutti i ragazzi dell’associazione e iniziò a fare dei provini. Quando toccò a me, mi chiese di cantare una canzone a piacere e io feci ‘Voce ‘e notte’, un classico napoletano. Non solo mi scelse come cantante di quella recita, ma mi portò in tutte le feste che organizzava nelle altre parrocchie o nel convento di Sant’Eframo Vecchio di Napoli. La sua conoscenza è stata molto importante per la mia crescita artistica ed è stato lui il mio unico maestro di canto. Tante volte con i ragazzi dell’associazione ci radunavamo e tutti insieme ci mettevamo a cantare le canzoni più ascoltate di quegli anni, soprattutto quelle dei Beatles. Io mi divertivo a riscriverle in lingua napoletana e devo dire che alcune di queste ‘cover’, almeno nell’ambito ecclesiastico di Casoria, erano diventate famose, la più cantata era ‘Let it be’, diventata poi ‘Gesù Crì’”.
Furono gli autori del programma di Red Ronnie a convincere il cantante napoletano a far ascoltare in tv quella cover:
“Diversi anni dopo, la Rai mi invitò in una delle tante trasmissioni dove si omaggiava il mitico gruppo di Liverpool, e gli autori del programma mi spronarono a esibirmi in qualcosa inerente a loro. Non sapendo parlare e cantare l’inglese, non sapevo che fare. Raccontai agli autori di questo simpatico ricordo, si schiattarono dalle risate e senza nessuna esitazione mi fecero cantare ‘Gesù Crì’. Ci tengo a precisare che non mi sono mai permesso di incidere questa cover, perché non l’ho mai considerata una mia canzone, ma solo un simpatico gioco per i ragazzi della parrocchia che amavano i Beatles”.