LA MORTE
Musica di Georges Brassens
parole di Fabrizio De André
La data sembra un codice funesto, 1111999: 11 gennaio 1999. Nella notte di una Milano gelida e piovosa De André cede a 58 anni, 10 mesi e 26 giorni, divorato dal cancro. La famiglia dirama una nota: «Fabrizio appartiene non solo a noi, ma a tutti quelli che lo hanno amato». “Quelli” sono milioni, senza distinzione di genere, ceto, razza, anagrafe, nazione. Il giorno dopo una folla immensa e attonita segue il feretro nella basilica genovese di Carignano e poi al cimitero monumentale di Staglieno dove, testimoni oltre diecimila persone, con le ceneri di Fabrizio viene ricostruita la famiglia: il padre Giuseppe, morto nel 1985,
il fratello Mauro (1989) e la madre Luisa Amerio (1995). Li raggiungerà nel 2004 Enrica Rignon, prima moglie di Fabrizio, che sulla lapide è ricordata con il nomignolo Puny.
Faber viene accompagnato dalla sua devastante “Ave Maria sarda”, seguita dagli straziati figli Cristiano e Luvi, dalla moglie Dori, dagli amici Nanda Pivano, Paolo Villaggio, Beppe Grillo, Antonio Ricci, dai colleghi Bruno Lauzi, Vasco Rossi, Ivano Fossati, Roberto Vecchioni, Nico De Scalzi, Mauro Pagani, Fiorella Mannoia, Teresa De Sio, dai rossoblù del suo Genoa («Non ho mai scritto un inno perché sono troppo coinvolto» si è giustificato), e da una flotta sterminata di varia umanità. Si arrende alla malattia dopo una lotta disperata e commovente che lo ha portato, solo pochi mesi prima, a programmare un lungo tour musicale e a firmare per la Bmg Ricordi un contratto che, per la prima volta nella sua carriera ultratrentennale, lo impegna nella realizzazione di album con una cadenza costante per gli anni successivi. È il suo modo per esorcizzare il futuro. E la morte che “mai non muore”, che non è venuta “all’improvviso” come recita la sua canzone, e nemmeno “nell’ozio, nel sonno, in battaglia”.
La sua “celebrazione” della morte ha un’atmosfera solenne e medievale, anche nel linguaggio: “Madonna che in limpida fonte / ristori le membra stupende / la morte non ti vedrà in faccia / avrà il tuo seno e le tue braccia”. L’“estrema nemica” non fa sconti a nessuno: a prelati, notabili e conti, né a straccioni e neppure al “guerriero che in punta di lancia / dal suolo d’Oriente alla Francia / di stragi menasti gran vanto / e fra i nemici il lutto e il pianto”. La morale è nell’ultima strofa: “Di fronte all’estrema nemica / non vale coraggio o fatica / non serve colpirla nel cuore / perché la morte mai non muore”.
La musica è stata scritta vent’anni prima da Georges Brassens per la canzone "Le verger du Roi Louis", con un testo del tutto differente sulla pena per impiccagione, ispirato a sua volta dal poeta ottocentesco Théodore de Banville.
Resta comunque il tema costante della morte, quella già cantata da Villon che, nel Quattrocento, compone un terribile poema contro “l’estrema nemica”, rimproverandola di avergli portato via il suo giovane amore: “Contro il rigore tuo, morte, mi appello / che m’hai rapito la mia dolce amica: / forse che sazia ancora tu non sei / e tuttora mi tieni nel languore? / Non ebbi da quel tempo più vigore; / che male ti faceva, stando in vita, / morte?”.
Questo testo è tratto da "Tutto De André" di Federico Pistone (Arcana). (C) 2021 Lit edizioni S.a.s. per gentile concessione.