Era il 29 febbraio, in realtà, perché il 1992 fu un anno bisestile: sul palco del Lakeland Civic Center di Lakeland, in Florida, si posò un’astronave fatta di schermi giganti mai visti prima di allora. Una macchina schizofrenica, una sorta di simulazione di zapping compulsivo su larghissima scala esplicitamente studiata per investire lo spettatore con un sovraccarico sensoriale degno di un esperimento scientifico, più che di un concerto.
In mezzo Trabant utilizzate come parte dell’impianto di illuminazione, video confessionali in mezzo al pubblico, scherzi telefonici, collegamenti in diretta con Sarajevo (all’epoca assediata nell'ambito delle operazioni militari che caratterizzarono la guerra in Bosnia), costumi improbabili - ricordate MacPhisto, la “Mosca” (ovviamente su “The Fly”) e il Mirror Ball Man? - e tanta arte (i truismi di Jenny Holzer sparati a mo’ di messaggi subliminali, ma anche i lavori di Mark Pellington e David Wojnarowicz, oltre che al contributo di Brian Eno, già regista dell’album che proprio con lo ZooTV tour fu promosso, e celebrato, il “berlinese” “Achtung Baby”).
(il video integrale della prima tappa dello Zoo TV Tour a Lakeland, Florida)
Con lo Zoo TV tour gli U2 cambiarono per sempre il modo di intendere le grandi produzioni dal vivo: con 151 milioni di dollari incassati al botteghino grazie a 5,3 milioni di biglietti staccati e 157 date in tutto il mondo - con gruppi spalla d’eccezione come, tra gli altri, Pixies, Primus, Disposable Heroes of Hiphoprisy, Big Audio Dynamite, Public Enemy, Sugarcubes, Pj Harvey, Pearl Jam, i riuniti Velvet Underground di Lou Reed (che si ritrovarano a dividere il palco con Ligabue allo stadio San Paolo di Napoli il 9 luglio) e persino gli alfieri del rumorismo berlinese Einstürzende Neubauten - la serie di concerti che tenne impegnata la band di Bono per quasi due anni - fino al 10 dicembre del ‘93, cinque mesi dopo l’uscita del successore di "Achtung Baby”, “Zooropa”, pubblicato a luglio dello stesso anno - fu uno shock, visto con gli occhi di allora.
Configurato come uno spettacolo “immersivo”, quando ancora il metaverso viveva solo nella mente del suo creatore - “Snow Crash” di Neal Stephenson fu pubblicato solo nel giugno del ‘92, qualche mese dopo la partenza del tour - lo Zoo TV Tour da un lato portò il pubblico ad aspettarsi qualcosa di più, ai concerti, che gente che suona su un palco, e dall’altro artisti e manager a un’escalation inarrestabile all’effetto speciale e alla trovata scenica clamorosa. A venir meno facendo prendere all’industria del live una pericolosa (e dispendiosa) sbandata per l’eccesso a tutti i costi, negli anni successivi, furono il senso della misura e la capacità di autocritica. La Zoo TV Tour fu figlio di circostanze tutto sommato eccezionali, che videro coesistere nello stesso luogo e nello stesso tempo un disco estremamente ispirato, una band vogliosa di rimettersi in gioco per riaffermare la propria rilevanza e una struttura produttiva tanto ricca quanto illuminata e incline alle scommesse - in caso di flop, dal punto di vista economico, l’operazione si sarebbe rivelata uno dei più grandi bagni di sangue finanziari di sempre. Nonostante gli effetti speciali, furono le persone sul palco (e dietro) a rendere speciali i megaschermi, non viceversa. Perché i megaschermi, alla fine, sono solo megaschermi.