Si intitola "Hallelujah: Leonard Cohen, a journey, a song": è il documentario di Daniel Geller e Dayna Goldfin che racconta la storia di una delle canzoni più amate, reinterpretate (e fraintese) degli ultimi decenni. Il film è stato presentato oggi in anteprima alla Festa del Cinema di Venezia, con i due autori che raccontano di avere usato immagini d'archivio mai viste prima e note personali della vita di Leonard Cohen: "L'idea iniziale era ricostruire la genesi di questo pezzo, lavorare sui materiali dell'epoca e mettere in luce gli aspetti più profondi di Hallelujah".
Non è la prima volta che viene raccontata la tormentata storia della canzone, usata tanto al cinema quanto in TV, come brano natalizio, sacro, per matrimoni e funerali indifferemente. Nek 2013 se ne occupò il giornalista Alan Light nel libro “The Holy or the Broken: Leonard Cohen, Jeff Buckley, and the Unlikely Ascent of “Hallelujah”. Ecco, in sintesi, la storia di una canzone spesso incompresa.
Leonard Cohen e "Hallelujah"
Il documentario sembra focalizzarsi su Cohen, che la scrisse nei primi anni '80, con molta fatica: si racconta che compose decine e decine di strofe, arrivando a sbattere la testa sul pavimento dalla frustrazione. La canzone venne quindi inclusa nel 1984 in “Various positions”, sua prima uscita dopo lungo tempo. Ma passò inizialmente inosservata: la CBS, etichetta di Cohen, addirittra si rifiutò di pubblicare il disco negli Stati Uniti perché era troppo lontano dal suono classico del cantautore, che faceva grande uso di sintetizzatori.
Venne ripresa dal vivo da Bob Dylan, ma anche questa versione passò quasi inosservata. Cohen raccontò che il collega gli chiese quanto ci avesse messo a scriverla: “Gli dissi un paio anni, ma mentii perché ci misi molto di più. Io gli chiesi di una sua canzone, ‘I and I’, e lui mi disse di averla scritta in 15 minuti".
Cohen non ha ha mai voluto entrare troppo nel dettaglio del significato del brano, ma “Hallelujah”, nelle sue varie versioni unisce il sacro e il profano: riferimenti biblici (La storia di Re Davide e Betsabea, la citazione di Sansone) a scene molto prosaiche e sensuali (“But remember, when I moved in you/And the holy dove was moving too /And every breath we drew was Hallelujah”, presente nella versione di Cale/Buckley),
La nuova vita di "Hallelujah", da John Cale a Jeff Buckley
La canzone ha infatti diverse versioni e la sua riscoperta iniziò nel 1991, quando l’ex-Velvet Underground John Cale la sentì cantare ad un concerto di Cohen, se ne innamorò, e lo contattò per avere il testo. Cohen rispose con un lunghissimo fax, con molti dei versi inediti scritti e mai utilizzati: Cale la reincise per l’album tributo “I’m Your Fan”, usando alcuni di questi versi inediti, in una versione quindi diversa. Fu di questa versione che che si innamorò Jeff Buckley, che la incise per “Grace” (1994), rendendola popolare. Qualche anno dopo la versione di Buckley comparve ripetutamente in "The O.C.: il teen drama la la fece conoscere ad una nuova generazione di ascoltatori. Fu una delle tante riscoperte del brano, grazie a TV e cinema.
Le versioni più note (e quelle italiane)
Molto amata anche quella Rufus Wainwright per “Shrek” nel 2001, a cui venne chiesto di incidere una versione nell'impossibilità di usare quella di John Cale.
Innumerevoli le cover, da Bono a Bon Jovi, a k.d. lang, Willie Nelsonm Neil Diamond, Damien Rice Justin Timberlake. Per non parlare di quante volte è stata cantat nei talent: diventò il singolo di Natale in Inghilterra nel 2008, vendendo 105mila copie in una settimana quando ad X Factor UK Alexandra Burke la scelse come suo brano per la finale, che vinse.
Tra le versioni italiane, la prima è probabilmente qualla Baccini l’ha tradotta in italiano quasi 20 anni fa come “Shrek Alleluia”, trasformandola in un racconto sul film. Più nota è quella di Elisa, incisa per "Lotus" nel 2006. In Italia è stata cantata da cantanti con diversa provenienza, da Giulio Casale a Cristina D’Avena, che l’ha incisa per il suo album “Magia di Natale” (2014). Recentemente è stata incisa da Andrea Bocelli (qua l'intervista di Rockol), e cantatata Ermal Meta a a “Musica che unisce”, la scorsa primavera.