Music Startups: l’ascesa di Splice

Splice è un marketplace di campioni audio in vendita in modalità royalty free.
A creare questi suoni e a venderli è una comunità di musicisti e produttori, a disposizione dei quali Splice mette della tecnologia avanzata che privilegia facilità d’uso, velocità di produzione e scalabilità.
La società, in effetti, non può più definirsi tecnicamente una startup per motivi anagrafici – uscita in beta nel 2014, passata disponibile al pubblico nel 2015, ha ormai sei anni di vita commerciale. Ma è decisamente ancora improntata alla crescita più che al bilancio, e in questo senso rientra sicuramente nel profilo della scale up, come testimoniano tre parametri chiave.
Il primo, quello finanziario: con un nuovo round di raccolta di capitali da 55 milioni di dollari completato la scorsa settimana grazie agli interventi di Music (la divisione dedicata agli investimenti della Songs Music Publishing di Matt Pincus) e Goldman Sachs, l’azienda ha finora ottenuto complessivamente oltre 150 milioni di dollari dal mercato e portato il suo valore a 500 milioni di dollari. Splice ha peraltro dimostrato idee chiare sul piano dell’utilizzo dei fondi ottenuti dal mercato, considerando che in tempi recenti li ha usati per crescere per via di acquisizioni, come quelle delle due società music-tech Audiaire e Superpowered.
Il secondo, quello dell’utenza: se la traction è tutto ciò che conta nel processo di crescita, Splice è messa molto bene in un comparto che premia un tipo di utenza professionale: oggi vanta infatti 4 milioni di utenti unici mensili, che frequentano la sua piattaforma e acquistano i suoi samples liberi da royalties.
Il terzo, per l’appunto, la sommatoria delle royalties retrocesse ai creatori della musica che la piattaforma vende: il valore che Splice ha corrisposto ai suoi creators relativamente ai primi 9 mesi dell’anno passato ammonta già a 11 milioni di dollari.
La proposta artistica e commerciale di Splice funziona a tal punto da essere stata involontaria protagonista di uno scandalo, poi rientrato: Justin Bieber venne infatti accusato di plagio dall’artista Asher Monroe per l’utilizzo di un campione acquisito su Splice (si è poi scoperto che il sample era disponibile e che entrambi i musicisti lo avevano acquisito libero da royalties dal suo creatore, il produttore Laxcity). Anche in pezzi da classifica di Ariana Grande, Eminem, e Marshmello sono stati utilizzati sample attinti da Splice.
Fondata da Steve Martocci – fondatore della chat app GroupMe, rivenduta per 85 milioni di dollari a Skype un anno dopo la sua fondazione – Splice è una piccola anomalia nel segmento delle tech companies musicali: non emana dalla Silicon Valley ma è basata a New York.
La sua è una piattaforma collaborativa che si rivolge al mondo dance e alla comunità dei DJ conta su un software in grado di produrre beat grazie a intelligenza artificiale e algoritmi.
Il suo modello di business è basilare: l’utente paga $7,99 al mese e ottiene accesso illimitato a oltre 3 milioni di suoni, beats, campioni da batteria e sintetizzatori e così via. Così basilare e attraente da avere stimolato l’ingresso nell’arena di nuova concorrenza, come quella rappresentata da Arcade e da Sounds.com.