Come funziona e chi comanda a Spotify?

Spotify, fondata nell'ormai lontano 2008, è diventata una public company il 3 aprile 2018. Classico unicorno (ex startup con una valutazione di almeno un miliardo di dollari), ha optato per la formula della quotazione diretta (in antitesi al più tradizionale IPO - Initial Public Offering) al NYSE americano. Dai 132 dollari di quel giorno, in circa due anni e mezzo il suo valore è raddoppiato - oggi il titolo quota 270 dollari. Nell'aprile di quest'anno, in piena pandemia, Spotify dichiarava 133 milioni di abbonati premium in tutto il mondo.
Spotify è una società svedese che ha mantenuto il suo quartier generale a Stoccolma, aprendo però nel tempo uffici in tutto il mondo ed assimilando molta cultura della corporate America, che si riflette anche nel proprio modello organizzativo e nel board che la governa.
Il modello organizzativo è stato oggetto di studio e prevede un'organizzazione in "tribù": si tratta di gruppi di alcune decine di sviluppatori dedicati ciascuno a una missione specifica e, al loro interno, ripartiti in "squadre" e "capitoli". Questa struttura, che è concepita per agire come se all'interno della società operasse una quantità di piccole start-up, è tesa a massimizzarne e valorizzarne la creatività mediante molte iniziative indipendenti. Interessante notare come a consolidare e unire le varie unità e sotto unità contribuiscano le "corporazioni" che sono incoraggiate ad essere create ed operare ufficialmente all'interno di Spotify: queste corporazioni aggregano dipendenti con specializzazioni e competenze simili che, pur appartenenti a gruppi di lavoro diversi, sono uniti dal know how comune e dal retroterra professionale e sono chiamati a condividere le proprie esperienze, i propri obiettivi e i temi forti che impattano sul loro lavoro.
A monte di tutto ciò, un organigramma che vede al vertice Daniel Ek, co-fondatore e CEO di Spotify, al quale riportano solo sei dirigenti: si tratta di Katarina Berg (capo HR), Alex Norström (Chief Premium Business Officer), Gustav Söderström (Chief Research & Development Officer), Paul Vogel (CFO), Dawn Ostroff (Chief Content Officer) e Cecilia Qvist (Global Head of Markets). Grande concentrazione di management svedese con il 50% di alta dirigenza femminile.
E' interessante dare anche un'occhiata al consiglio di amministrazione attuale, la cui composizione mostra sia l'adesione al succitato modello della corporate America - con la presenza di rappresentanti di molte multinazionali, due delle quali grandissimi operatori dell'industria dei contenuti e dell'intrattenimento - sia lo status di cui Spotify gode ormai all'interno del Gotha delle quotate all'incrocio tra tecnologia e intrattenimento.
Il consiglio di amministrazione consta di 9 membri. A Ek (che accorpa le cariche di amministratore delegato, presidente e direttore generale) ed all'altro co-fondatore Martin Lorentzon (a sua volta co-fondatore di TradeDoubler), si affiancano 3 donne (tra cui Heidi O'Neill, presidente di Nike Direct) e 4 uomini, tra i quali spiccano invece le figure di Thomas Staggs e Ted Sarandos. Staggs è un ex CFO di Disney (in cui era una delle primissime linee del grande CEO Bob Iger), mentre Ted Sarandos è il Chief Content Officer di Netflix. Il contributo apportato da questi due manager si segnala per la preziosa complementarietà che forniscono al board e al CEO: non solo perchè al centro della loro esperienza è ed è stato l'intrattenimento in video (e non in audio), ma soprattutto perchè prima Disney e poi Netflix sono cresciute con un modello basato sull'incremento e la centralità di contenuti prodotti al proprio interno e della valorizzazione della proprietà intellettuale
non di terze parti. Qualcosa che potrebbe avere contribuito ad orientare Spotify ad aggregare al proprio core business quello dei podcast, con la recente acquisizione della piattaforma The Ringer (e quella annunciata e progettata di Megaphone da Slate).