Bruce Springsteen, tutte le canzoni di “Born in the U.S.A.”: la title track, “Born in the U.S.A.”

L’ormai classico album di Bruce Springsteen è uscito nel 1984 e noi, da oggi 26 maggio fino al 4 giugno, anniversario della pubblicazione, ve lo presentiamo canzone per canzone.

Springsteen aveva una sceneggiatura intitolata “Born in the U.S.A.” sulla scrivania in noce della sua casa di Colts Neck, New Jersey, inviatagli dal regista Paul Schrader.

Usandone il titolo, Springsteen registrò un provino intitolato “Born in the U.S.A”. sul suo registratore a quattro piste, e lo inviò a Jon Landau. La melodia doveva ancora fondersi a tutto il resto, e a differenza dei brani che formarono l’album, non sembrava affatto vicina alla versione definitiva, trattandosi di una registrazione domestica piena di eco. Nell’aprile 1982, Springsteen e la E Street Band tornarono allo Studio A della Power Station per registrare la versione di studio dei brani di “Nebraska”. Erano al secondo giorno di registrazione quando Springsteen fece ascoltare alla band “Born in the U.S.A”. con una nuova versione della melodia, e Bittan ricorda di aver isolato un motivo a sei note dal ritornello che Springsteen cantò. La sua versione su album è un take dal vivo del primo periodo, cui sono stati tagliati alcuni minuti di improvvisazione. Nel corso degli anni, da quando Springsteen lo aveva messo in riga durante le sessioni di “The River”, Weinberg era ripartito da zero, prendendo lezioni dal percussionista e maestro di sessioni Gary Chester. In “Born in the U.S.A”., tutto quel che aveva imparato fa bella mostra di sé. Finirono alle 3 del mattino. Alle 9, Springsteen guidò fino alla casa di Weinberg con uno stereo portatile e una cassetta di brani mixati da Toby Scott, in cui l’ingegnere aveva applicato un maestoso riverbero controllato al rullante di Weinberg (usando una piastra da riverbero rotta), il che, in combinazione con i microfoni di sala del soffitto dello Studio A, creava uno dei più meravigliosi sound di batteria che il mondo avesse mai sentito (e che il mixer di Bob Clearmountain avrebbe reso ancora più maestoso nella versione finale del brano).

Springsteen sapeva che lui e la band avevano portato a casa una delle loro registrazioni migliori, anche se furono necessari altri due anni pieni di lavoro prima che il Boss si sentisse pronto a pubblicare un album all’altezza del pezzo.

Domani scriveremo di “Cover me”

I testi sono tratti dal libro di Brian Hiatt “Bruce Springsteen – Le storie dietro le canzoni”, pubblicato da Il Castello, per gentile concessione dell’editore; al libro rimandiamo per la versione integrale dei testi di presentazione delle canzoni di “Born in the U.S.A.” e di tutti gli altri album di Bruce Springsteen.

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