C’è qualche cosa di sciamanico e metafisico nelle danze e nella musica di FKA twigs: un’aliena scesa sulla terra, fra i mortali che l’hanno venerata al Fabrique di Milano. Una ritualità ancestrale e allo stesso tempo futurista, in un tripudio di arti messe in scena con il fine di combattere il mostro che più affligge gli umani: il dolore. Le ombre lunghe della malattia (la rimozione di sei fibromi uterini), e la fine di un amore (la separazione dall’attore Robert Pattinson a un passo dall’altare), annegano nei balli tribali, nella pole dance e nelle canzoni commoventi e viscerali della cantautrice e danzatrice britannica. Sacralità ultraterrena e fragilità umana: come la Maria Maddalena, figura il cui nome è anche il titolo dell’ultimo disco di FKA twigs. Il concerto si apre con un’eterea “Water me”, Tahliah Debrett Barnett, questo il suo vero nome, è da subito inafferrabile. Ma è dal terzo e dal quarto brano, “Figure 8” e “Video girl”, che il concerto muta, trasformandosi in una performance di pop contemporaneo in cui convivono anche danza e teatro. L’artista entra ed esce dal palco avvolta dai leggeri fumi di scena, e mentre la sua magnifica voce passa fra più dimensioni, il suo corpo di ballo, formato da quattro danzatori, inizia un rituale a cui sarà invitato a partecipare anche il pubblico per quasi tutta l’ora e mezza di live. “Home with you” è una delle apoteosi del “non tempo” creato dall’artista: un pianeta sonoro e visivo che non ha un anno di nascita. Mentre lei canta “I wonder if you think that I could never help you fly”, i ballerini realizzano un gioco di sguardi e maschere che ricorda il teatro greco antico. La circondano tenendo in mano e indossando volti che fissano twigs, la attorniano e poi, libera, la sollevano e la innalzano al cielo. Gli occhi del pubblico sono letteralmente rapiti da una visione che apre la porta a un’altra parte simbolo del concerto. La cantautrice impugna una spada, combatte con i suoi demoni, trafigge l’oblio e fa cadere il sipario alle sue spalle. Un colpo di scena. Dentro una struttura metallica rialzata compare la sua band, formata da tre elementi, che sembrano i protagonisti di un film distopico sul futuro, stile Mad Max. Anche lei è cinematografica, non solo nella performance, ma anche nell’immagine: con abiti lunghi, merletti, gonne che compaiono e scompaiono, sembra un pirata del futuro. “Sad Day” arriva come una cannonata al cuore.
Il concerto cambia passo, si inspessisce ancora e raggiunge degli apici con interpretazioni da brividi come quella di “Mirrored heart” in cui la sua voce scava dentro chi l’ascolta, si arrampica e fluttua. L’esorcismo della malattia che ha messo a dura prova il suo corpo, si compie con un intermezzo di pole dance durante cui twigs si attorciglia al palo, si contorce, mostra tutta la sua bellezza e femminilità. Suadente e carnale, fra sacro e profano. È l’estasi del pubblico. Solo dopo “Two weeks” pronuncia poche parole: “Thank you, I love you”. E sorride. La freddezza di cui spesso la si accusa si infrange dentro il calore di uno show a tratti perfetto per intensità e ritmo. Il live si chiude con “Cellophane”: lei è immobile, solo qui si ha l’impressione di assistere a un concerto “normale”. Il magnetismo con il pubblico è totale. Il rito richiesto e voluto dalla dea twigs è compiuto. Applausi scroscianti e perfino lacrime che bagnano il volto di alcuni fan mettono fine alla performance. Poi il suo abbraccio con la band e con il corpo di ballo. Un abbraccio fortissimo. Molto umano.
(Claudio Cabona)
Scaletta:
Water me
Pendulum
Figure 8
Video Girl
Mary Magdalene
Home with you
Sad Day
Fukk Sleep
Holy Terrain
Daybed
Mirrored heart
Papi Pacify
Two Weeks
Cellophane