Aveva promesso il funk, e il funk è arrivato, assieme al rock e a un suono ricco come pochi altri. Quando lo abbiamo intervistato dopo la prima data del tour Italiano, a Padova, il cantante e chitarrista ci aveva raccontato la nuova formazione della sua Dave Matthews Band, approdata per la prima volta in Europa: dentro il tastierista Buddy Strong, addio al violinista Boyd Tinsley, violinista e membro storico del gruppo da più di 25 anni. "Buddy ha portato il funk nella nuova formazione: il modo in cui suona con Tim Reyonlds e con il resto del gruppo è incredibile", ci aveva raccontato. "E' cambiato un elemento, e sono cambiate le dinamiche: non mi sono mai sentito così connesso con i miei musicisti come ora".
E la promessa è stata mantenuta a Milano, fin dalle prime note di di "What would you say" e "Wharehouse", due classici del repertorio piazzati subito in apertura. La "nuova" DMB ha un suono più compatto, ancor più legato alle radici black della loro musica. Durante "Wharehouse" Dave Matthews inizia a sorridere: la serata è di quelle giuste, ogni tanto guarda i suoi musicisti e se li gode. Lo fa esplicitamente nel momento più intenso del concerto, una chilometrica "Jimi Thing", in cui si mette a lato palco e prima guarda il duello a base di chitarre e tastiere di Reynolds e Strong, poi si gode la sezione fiati di Rashawn Ross e Jeff Coffin, prima di tornare al microfono, per far sfociare il brano in una cover di "Fly like an eagle" della Steve Miller Band. L'altra rielaborazione in scaletta è "Sledgehammer", perfetta per il suono della band: Matthews lascia la chitarra e mima le mosse di Peter Gabriel nel famoso video, mentre la band rende la canzone ancora più funky, appunto. A fine canzone, si complimenta spesso con i musicisti, soprattuto con il batterista Carter Beauford, un gigante e vera spina dorsale del suono assieme all'altro membro fondatore, il bassista Stefan Lessard.
DAVE MATTHEWS BAND A MILANO - LA FOTOGALLERY
La leggenda vuole che un'ora prima del concerto Dave Matthews si sieda da solo ad un tavolo, di solito nell'area catering del backstage, e scriva la scaletta a mano, in base a quello che gli passa per la testa. Quella di Milano comprendeva diversi classici (oltre a quelli citati, anche "Rapunzel", la conclusiva "Ants Marching" e una "Pantala Naga Pampa" aggiunta all'ultimo, non segnata in scaletta), qualche cover qualche canzone dell'ultimo disco: bella "Samurai Cop (Oh Joy Begin)" - uno dei rari momenti in cui imbraccia l'elettrica al posto della tradizionale acustica - e la delicata "Here on now", eseguita da solo. Manca qualche pezzo, ad essere sinceri: come "#41", suonata a Padova. Ma il gioco è questo: in tre date italiane, la Dave Matthews Band ha proposto tre scalette anche molto diverse. E' il motivo per cui il parterre è pieno di persone di mezzo mondo che seguono il gruppo ad ogni data. Ed è il motivo per cui, di fronte al mixer, si vedono aste con microfoni: sono i "taper", i fan che sono autorizzati a registrare la performance e a scambiarsela - una tradizione iniziata con i Grateful Dead decenni fa e incentivata da molti gruppi che di Jerry Garcia e soci sono i figliocci - se non strettamente musicali - sicuramente filosofici nel modo di trattare il proprio pubblico.
Insomma, un'altra serata memorabile di grande musica: la Dave Matthews Band, anche in questa nuova formazione, dà lezioni di stile a mezzo mondo e intrattiene i fan. Cosa chiedere di più, ad un concerto?
Gianni Sibilla