Dirty Projectors - la recensione di "LAMP LIT PROSE"

E quindi uscimmo a riveder le stelle… Dopo il trip cupo di “Dirty Projectors”, registrato usando tecniche produttive hip-hop e R&B, la band di Dave Longstreth torna a uno stile più “classico”. C’è tutto: chitarre suonate col consueto stile nervoso e imprevedibile, armonie vocali, arrangiamenti raffinati, belle melodie. Quasi un ritorno a casa.

E chi se l’aspettava quest’euforia? E questi arrangiamenti coloriti, queste serenate, queste canzoni che paiono scritte e suonate in preda a una strana frenesia? Uno entra in “Lamp lit prose” e nel giro di poche canzoni capisce che è l’esatto opposto di “Dirty Projectors”, il breakup album pubblicato un anno e mezzo fa da Dave Longstreth. Quello era un’immersione verticale nei pensieri di un uomo in crisi, una parabola che andava dall’angoscia alla riconciliazione. Questo è breve, giocoso, solare e ci ricorda che ovunque c’è speranza. È l’album di un uomo che canta l’epifania dell’amore.

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