Da riscoprire: la storia di “Azimut" dei Perigeo

C’è stato un tempo in cui i confini fra jazz elettrico e rock sembravano labili. Fra i primi ad adoperarsi in Italia all’inizio degli anni ’70 per abbattere il muro che divideva i due generi c’erano i Perigeo. Ispirati dalle gesta di Miles Davis e folgorati in particolare da “Bitches brew”, nel 1972 assemblano l’album d’esordio “Azimut” presso lo Studio D della RCA romana. È diverso da qualunque altra cosa circoli in Italia. In una formazione a cinque che comprende un pianista, un sassofonista, un chitarrista elettrico, un (contrab)bassista e un batterista, i Perigeo mirano alla creazione di una variante italiana di jazz-rock, evidentemente affratellato con quello americano, ma radicato nel nostro Paese e appetibile per il pubblico giovanile che frequenta i cosiddetti festival “pop”.

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Basterebbe il background dei musicisti per raccontare la natura ibrida della band. Il fondatore Giovanni Tommaso, da Lucca, è un contrabbassista e bassista elettrico che ha una lunga storia come leader e turnista. È spalleggiato dal pianista jazz Franco D’Andrea del Modern Art Trio, già collaboratore di Gato Barbieri e destinato a una luminosa carriera solita. In un primo tempo i due chiamano il batterista con esperienze beat Bruno Biriaco e con lui provano in trio. Il batterista suggerisce di coinvolgere il sassofonista soprano e alto Claudio Fasoli che ha visto suonare in un festival del jazz del 1970 al Teatro dell’Arte di Milano. Tommaso chiama il chitarrista d’estrazione rock Tony Sidney dopo averlo ascoltato a Firenze, impegnato in un trio modello Jimi Hendrix Experience. Grazie all’attività di session man svolta da Tommaso all’interno della RCA, la band firma un contratto per un disco.

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