"Che cosa sta succedendo alla musica italiana?" Non stracciamoci le vesti: niente che non sia già successo anche in passato (ovvero: da Cantalamessa a Rovazzi, un secolo di "novelty songs")

Sapete cosa sono le “novelty songs”? No, eh? Allora facciamo un po’ di storia.
Il termine, che potremmo spiegare come “canzoni-gadget”, si riferisce a brani pubblicati su disco che abbiano caratteristiche particolari (umoristiche, in genere, o parodistiche, o connesse all’attualità) e che, occasionalmente, non sono cantati da interpreti professionisti. Il termine nasce verso la fine dell’Ottocento in Tin Pan Alley, la “via della musica” americana, cioè la strada di New York in cui avevano sede la maggior parte degli editori musicali dell’epoca. E allora le “novelty songs” erano così diffuse che costituivano una categoria a sé stante, insieme alle canzoni da ballo e alle canzoni lente (“ballads”).
Fra i primi esempi di “novelty song” c’è ad esempio “K-k-k-Katy” di Bill Murray, 1918, che gioca sull’effetto comico del balbettio
ma c’è anche “Der Fuhrer’s face”, 1942, che invece usa la grassa comicità del peto:
Un grande successo, un numero uno in classifica in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, è stato “How much is that doggie on the window?” (nella versione di Patti Page, negli USA, in quella di Lita Roza in UK):
ma anche “Yakety Yak” dei Coasters non se l’è cavata male, in fatto di vendite, nel 1958
Potrei continuare a lungo: ad esempio con “The Chipmunk song”, 1959, che utilizza le voci accelerate con effetto comico
con “Itsy bitsy teenie weenie yellow polkadot bikini” di Bryan Hyland, 1960
con “I was the Kaiser Bill’s batman”, di Whistling Jack Smith
o con “They’re coming to take me away, ha-haa” di Napoleon XIV, 1966
di cui esiste persino una cover italiana dei Balordi, “Vengono a portarci via, ah ahh”
o con “Ernie (The fastest milkman in the West)” di Benny Hill, 1979
Ma anche certe canzoni più dignitose non sfuggono all’etichetta di “novelty song”: è il caso di “Wand’rin’ Star”, “cantata”, o meglio declamata, da Lee Marvin e prima in classifica in Inghilterra nel 1970
ottimo esempio di novelty song interpretata da un non-cantante.
La mia preferita in assoluto? “Disco Duck” di Rick Dees and his cast of Idiots (976):
Insomma, avete capito. La canzone buffa, umoristica, in cui la musica ha un ruolo marginale e quel che conta è il testo o l’effetto divertente, è sempre esistita e ha sempre avuto successo.
Anche da noi, intendiamoci: a partire da “’A risata” di Bernardo Cantalamessa, primo 78 giri inciso in Italia, nel 1895
per proseguire con le canzoni di Rodolfo De Angelis, prima fra tutte “Ma cos’è questa crisi?”, 1933
o con le canzoni del varietà, della rivista e del tabarin, vera festa del doppio senso: come “Pesciolino mio diletto”, resa celebre dal recupero di Paolo Poli, o “Ai romani piaceva la biga”:
Con tutto il rispetto, certe canzoni del Quartetto Cetra, di Fred Buscaglione e Renato Carosone sono novelty songs a pieno titolo; come lo sono, senza voler mettere in dubbio a dignità artistica dei loro interpreti, “Il truccamotori” di Giorgio Gaber, 1972
e buona parte della produzione di Renzo Arbore, dalle sigle televisive di “Quelli della notte” e “Indietro tutta” (“La vita è tutta un quiz”, “Ma la notte no”, “Il materasso”, “Cacao meravigliao”) fino alla ormai classica “Il clarinetto”, Sanremo 1986
Al Festival di Sanremo, per dire, di “novelty songs” ne sono passate parecchie: anche trascurando gli anni degli inizi (“Al mercato di Pizzighettone”, Achille Togliani e Duo Fasano, 1951; “Papaveri e papere”, Nilla Pizzi, 1952; “Papà Pacifico”, Teddy Reno e Nilla Pizzi, 1953; “Casetta in Canadà”, Carla Boni con Gino Latilla e Gloria Christian, 1957), basta ricordare “Lui andava a cavallo”, presentata da Gino Bramieri e Aurelio Fierro nel 1962
la stessa “Chi non lavora non fa l’amore” di Adriano Celentano (1970), a metà tra novelty song e canzone di cronaca
la citatissima “Sugli sugli bane bane” di Le Figlie del Vento”, Sanremo 1973
“Sarà un fiore” di Enrico Beruschi, 1979
“Nella valle dei Timbales” dei Figli di Bubba, 1988
e chiudo in gloria (ma potrei continuare fino ai giorni nostri) con “La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese, 1996
Ma anche fuori da Sanremo, le classifiche di vendita italiane sono state spesso frequentate da “novelty songs”. Lasciando fuori dalla ricerca le sigle televisive (che meriterebbero un articolo a parte), e le canzoni cantate dai calciatori (Ciccio Graziani, Beppe Savoldi, Giorgio Chinaglia, Ruud Gullitt, che non hanno mai avuto grande successo) fra le 100 canzoni più vendute anno per anno in Italia troviamo
“Io ti amo (Tu mi ami)” di Alberto Lupo (1967)
“Pippo non lo sa” di Rita Pavone, cover dei Trio Lescano (1968)
“Casatchock” di Dori Ghezzi (1969)
“Permette signora” di Piero Focaccia (1970)
“Piange il telefono” di Domenico Modugno (1974)
“Buonasera dottore” di Claudia Mori (1975)
“Sei forte papà” di Gianni Morandi (1976)
“Il maestro di violino” di Domenico Modugno (1976)
“Torna a casa mamma” di Memo Remigi (1977)
“Mi scappa la pipì papà” di Pippo Franco (1979)
“Gioca jouer” di Claudio Cecchetto (1981)
“Il ballo del qua qua” di Romina Power (1982)
“Carletto” di Corrado (1983)
...e adesso anche basta, direi. Ah, no: andando a memoria, senza spulciare le classifiche anno per anno, ci sono ancora da ricordare
“Faccia da pirla” di Charlie (1988)
“C’è da spostare una macchina” di Francesco Salvi (1989)
“Esperanza D’Escobar” di Armando De Razza (1989)
“Rapput” di Claudio Bisio (1991)
“Azz” di Federico Salvatore (1995)
“La canzone del capitano” di DJ Francesco (2004)
e naturalmente...
“Il pulcino pio” (2012)
Dice: e a che serve tutta questa elencazione di novelty songs?
Mah, niente. Un po’ a farvi divertire in un giorno di fine estate, e un po’ a spiegare a chi si straccia le vesti perché una certa “canzone” è prima in classifica che non è il caso di gridare alla “fine della musica italiana”. Niente di nuovo sotto il sole...
Franco Zanetti
(PS: grazie a Klaus Bonoldi per lo spunto)