
Chiamato a chiudere l'annuale edizione del Web Summit, happening per addetti ai lavori chiusosi ieri sera nella "sua" Dublino, Bono ha colto l'occasione per fare chiarezza su alcuni dei temi toccati - esplicitamente o meno - nelle ultime settimane, specie dopo la pubblicazione del nuovo album degli U2, "Songs of innocence": autodefinitosi "una rockstar sfasciata, stapagata e straviziata", il cantante non ha potuto fare a meno che partire dall'affaire Apple, vero e proprio tema caldo di questo autunno discografico.
"[Regalare "Songs of innocence" su iTunes] è una delle cose che mi rende più fiero tra quelle che ho fatto nella vita: l'idea, dopo aver lavorato per anni e anni su canzoni che riteniamo essere le più personali scritte nella nostra carriera, che nessuno avesse potuto ascoltarle ci terrorizzava.
Ecco perché ci è piaciuta l'idea di presentarle a gente che di solito non ascolta musica rock (.) 100 milioni di persone hanno ascoltato due o tre canzoni, e 30 milioni hanno ascoltato tutto il disco. Con 'Songs of innocence' abbiamo fatto in tre settimane quello che con 'Joshua tree' abbiamo fatto in trent'anni".
"Sia chiaro, [per 'Songs of innocence] siamo stati pagati. Nessun altro dà valore alla musica come noi. Per noi è una cosa sacra. Credo che gli artisti debbano essere pagati più di quanto non lo siano oggi, ma la cosa migliore per far fruttare le proprie canzoni è farle ascoltare. Certo, so di essere strapagato. Una delle ragioni per le quali non mi faccio portavoce di questa causa è proprio perché so che ne sarei un pessimo rappresentante. Credetemi, però: se avessi 17 o 18 anni e dovessi mettere in piedi un gruppo oggi la faccenda mi interesserebbe molto".
"La battaglia non è tra download e streaming: la vera battaglia è per la trasparenza. L'industria musicale è storicamente avviluppata su sé stessa, ma le cose potrebbero cambiare se tutti avessimo l'opportunità di vedere quanto volte una canzone è stata ascoltata, dove e da chi. Anche i pagamenti agli artisti sarebbero più chiari. La gente se la prende con Spotify, che dà il 70% dei ricavi ai titolari dei diritti. Il problema, però, è la scarsa chiarezza delle case discografiche: sono necessari modelli di distribuzione più equi".
"I musicisti sono storicamente menestrelli: girano di città in città suonando in favore del potente locale, che - in caso di gradimento - li invita a mangiare al proprio tavolo. E' una cosa che non mi piace: preferisco quando è il musicista ad avere in mano il suo destino. Una delle cose che mi rendono nervoso, in questi tempi, è la preoccupazione che gli artisti stiano perdendo la propria potenza di fuoco, e che si stia man mano regredendo. Oggi noi non siamo costretti a suonare per il potente del castello. Se vuole, il potente può venire a vederci a un nostro concerto, pagando il biglietto come tutti gli altri". "Stiamo lavorando con Apple a un nuovo formato che sarà molto più di un semplice mp3. Se ci arriveremo, ci arriveremo. Nel frattempo, loro ci hanno dato libero accesso ai loro laboratori...".