La questione - ricorrente, tra gli addetti ai lavori, e puntualmente ispirata a una (controversa) normativa francese che dal 1994 impone alle emittenti radiofoniche transalpine una quota del 35 % nella programmazione musicale di brani cantati in francese - è stata riproposta, recentemente, dagli Amici della Musica, associazione supportata da Audiocoop fattasi promotrice di una campagna (sottoscritta da artisti come Piero Pelù, Eugenio Finardi e Piotta) che si propone, nell'ambito di un "contratto di servizio" stipulato con la Rai e con i maggiori network privati, di imporre una quota pari al 40 % di musica italiana all'interno della programmazione quotidiana, con un ulteriore 20 % destinato alla promozione di giovani talenti.
I responsabili dei palinsesti delle emittenti nazionali - lo abbiamo verificato qualche tempo fa - non hanno dimostrato entusiasmo, appellandosi alla libertà, garantita dall'ordinamento attuale, di avere le mani libere (e di rispondere, quindi, solo ai propri editori e ai propri ascoltatori) nel compilare la programmazione.
Fino ad oggi, però, nessuno si è mai preoccupato di andare effettivamente a verificare quanta musica italiana viaggi sull'etere e rimbalzi sulle casse degli impianti di auto, negozi e case nella Penisola: la domanda, Rockol l'ha posta a Earone, società di rilevamento radiofonico che dal 2008 monitora - quotidianamente - l'andamento delle programmazioni dei network che operino nel nostro Paese.
Per verificare le percentuali di musica italiana e straniera trasmesse dalle radio nazionali è stato preso in esame un intervallo temporale compreso tra il 31 gennaio del 2014 e lo scorso 20 marzo, andando a esaminare il numero di passaggi delle canzoni presenti nella top 100 dei brani in rotazione sui maggiori network nazionali (per alcune settimane il totale di brani è superiore a 100, per tenere conto degli ex aequo).
Tra il 31 gennaio e il 6 febbraio scorsi, su un totale di 111 brani distribuiti tra 67702 passaggi, 38 canzoni italiane hanno totalizzato 22734 passaggi, mentre 73 canzoni straniere ne hanno accumulato 44968: in percentuale, la produzione made in Italy ha occupato il 34% del repertorio trasmesso e il 34% dei passaggi totali, lasciando le restanti percentuali - identiche, del 66% - alla produzione straniera: nelle due settimane successive - quelle comprese tra il 7 e il 20 febbraio - la situazione è rimasta pressoché identica, con un campione di brani numericamente molto simile, rispettivamente di 112 e 105, diviso in 33% (su titoli e passaggi) di canzoni italiani e di 67% di produzione straniera.
Al (quasi) pareggio ci si è arrivati nella settimana tra il 21 e 27 febbraio, quella successiva al Festival di Sanremo: l'"effetto Ariston" ha spostato l'equilibrio a favore della produzione nazionale con - su un totale di 106 canzoni ruotate in top 100 distribuite in 69840 passaggi - poco più di 40% di brani italiani e poco meno del 60% di stranieri. Si torna, a piccoli passi, alla situazione pre-sanremese solo sette giorni più tardi: tra il 28 febbraio e il 6 marzo, al fronte di 104 brani spalmati su 69592 passaggi, poco più del 38% ha interessato musica di produzione nazionale, contro poco meno del 62% riservato alla produzione straniera.
La tendenza si consolida nella settimana successiva, quella compresa tra il 7 e il 13 marzo, e la forbice tra produzione nazionale e straniera torna ad allargarsi. Ancora 104 i brani passati dalla top 100, 69358 il totale dei passaggi, con un dato però lievemente diverso rispetto a quelli fatti segnare nelle precedenti settimane: la percentuale di titoli italiani sul totale è stata del 35%, facendo segnare però un 37% sul totale dei passaggi, al fronte del 65% di brani stranieri presenti della top 100 dei più trasmessi fermatisi, però, al 63% della percentuale sui passaggi. In pratica, le canzoni italiane, tra il 7 e il 13 marzo, sono state numericamente meno rispetto alla concorrenza straniera, ma - in proporzione - sono state più trasmesse.
E il trend non muta, se non per un lieve spostamento a favore del repertorio tricolore, anche nell'ultima settimana presa in considerazione, quella compresa tra il 14 e 20 marzo: 107 i brani presenti della top 10 delle emittenti monitorate, per un totale di 68657 passaggi dei quali 26478 sfruttati dalle 40 canzoni italiane trasmesse, e 42179 appannaggio delle restanti 67 opere straniere. Vale a dire, traducendo in percentuali, che la produzione ha abbia occupato il 37% dei titoli e il 39% dei passaggi, contro - rispettivamente - il 63 e 61 della produzione internazionale.

(Nella tabella, le percentuali settimanali di musica italiana e internazionale trasmesse dalle oltre 110 emittenti monitorate da Earone)
Volendo sintetizzare a tutti i costi, si potrebbe dire che dall'inizio dell'anno a oggi, nella programmazione radiofonica delle oltre 110 emittenti monitorate da EarOne in Italia, su tre canzoni due siano straniere e una italiana: una percentuale di certo inferiore, anche se non di molto, a quella proposta da chi vorrebbe regolamentare le percentuali con le cosidette "quote azzurre".
Che effetto sortisce, tuttavia, questa spartizione dell'etere tra repertorio straniero e domestico sulle vendite di album? Il rilancio sulle emittenti della produzione nazionale potrebbe fare da volano - come sostengono i fautori della politica protezionista nei palinsesti - alla discografia tricolore?
I dati IFPI riferiti al 2013 - che vedono, tra l'altro, il mercato europeo risalire (del 4,3%) per la prima volta dopo dodici anni di contrazione - raccontano un'altra storia. In Francia, per esempio, dove le quote radiofoniche di musica nazionale sono legge ormai da anni, la percentuale di produzione domestica (album) venduta nel corso dell'anno passato è dell'80%, mentre in Italia, dove - appunto - provvedimenti protezionistici ancora non sono stati introdotti, è - sempre in riferimento al 2013 - di dieci punti percentuali superiori, del 90%.
Il nostro Paese, sempre secondo il rapporto IFPI, è ai vertici mondiali - insieme a Brasile e Svezia, dove, nel caso di quest'ultima, la fruizione musicale è per larga parte passata, dalle radio tradizionali, ai servizi di streaming - per percentuale di vendite nazionali, secondo solo a Giappone e Corea del Sud, dove - pur in assenza di disposizioni che regolino le quote nella programmazione radiofonica - la produzione domestica occupa il 100% del mercato. Francia, Danimarca e Olanda si fermano all'80%, seguite dalla Germania, dove la produzione locale rappresenta il 70% del mercato: peggio fanno solo Norvegia e Spagna, col 60%, e Portogallo e Malesia, dove album stranieri e album nazionali si spartiscono in parti uguali le vendite.
La discrepanza tra il dato radiofonico e quello di mercato, in ogni caso, non deve stupire: già l'indagine sui risultati nella classifica del 2013 dei dischi italiani presentati al penultimo festival di Sanremo
ha dimostrato il definitivo crollo di quello che è un dogma - se non "il" dogma - di chi suole definirsi addetto ai lavori in ambito musicale, ovvero l'inscindibile legame di causa-effetto tra visibilità e popolarità.
Le testimonianze raccolte parlando coi programmatori radiofonici ci hanno restituito l'immagine di un rapporto univoco e esattamente contrario a quello immaginato dai più: oggi come oggi è semmai la popolarità a dare visibilità, non più il contrario. La ragione, tutto sommato, è semplice: se agli albori del music biz il media capace di convogliare l'attenzione di tutto il pubblico era solo uno - la radio, appunto, oggi - con un'audience sempre più frammentata e con sempre più canali adattabili alle esigenze del fruitore (come nel caso dei servizi di streaming online, che in paesi come la Svezia ormai rappresentano uno dei canali principali) - la popolarità si raggiunge in altri modi. Modi soggetti a molte più variabili, rispetto al passato, e quindi meno addomesticabili dal discografico o promoter di turno.
E i media? In un periodo di crollo verticale del volume di inserzioni e di disperata rincorsa ai grandi numeri tutti, ma proprio tutti, inseguono il nome (o il brano, radiofonicamente parlando) del giorno, rafforzando la spirale per la quale la visibilità viene concessa a chi - di per sé - non ne avrebbe bisogno, o a chi comunque già ne gode. Un china pericolosa? Può darsi: la risposta, immaginiamo, arriverà tra qualche anno, quando - numeri alla mano - sarà possibile capire quali linee editoriali avranno pagato.
Rimane aperta, infine, la questione quote azzurre. L'impressione, dopo l'esame dei dati FIMI che certifica come il 90% delle vendite di dischi in Italia sia occupata da produzioni nazionali , è che agli Amici della Musica più che al "40 % di musica italiana all'interno della programmazione quotidiana", possa interessare l'"ulteriore 20 % destinato alla promozione di giovani talenti". Categoria, quella dei "giovani talenti", difficilmente identificabile, perché se il "giovani" associato a talenti è da intendersi anagraficamente, nella top 10 degli album più venduti in Italia nel 2013 di giovani ce ne sono - Moreno, Emma e Fedez, solo per citarne alcuni

Qui sopra sono riportate, in percentuale, le nazionalità degli artisti presenti della top 10 degli album (a sinistra) e dei singoli (a destra) - da poptopoi.com.

Qui sopra sono riportate, sempre nelle stesse classifiche, le percentuali di presenza in relazione alle case discografiche - da poptopoi.com.
(Davide Poliani)
Dal 2009 EarOne ( www.earone.it ) opera in ambito musicale con un sistema di classifiche di airplay, sia radiofoniche che televisive, servendo tutte le tipologie di clienti della filiera della musica - dai partner istituzionali come le associazioni di categoria e le società di collecting ai differenti operatori del mercato musicale. Ha introdotto l'aggiornamento in tempo reale dei classici servizi offerti nell'ambito dell'airplay musicale: classifiche, playlist di radio e Tv, ricerche dettagliate su chi passa quali brani, analisi di market share di emittenti ed etichette. Offre inoltre il servizio MediaSender, che consente di personalizzare l'invio di contenuti digitali.