Istanbul: la festa della musica celebra le marching bands all'europea
L'Italia entra a ritmo di marcia nel semestre di presidenza UE.
Ma, per una volta, al di fuori dei toni ingessati e paludati delle celebrazioni ufficiali: è stata infatti una cerimonia festosa e assai poco pretenziosa, colonna sonora di una tambureggiante “street parade”, quella che sabato scorso, 21 giugno, ha portato formazioni musicali provenienti da sette paesi europei a marciare sull'Istiklal, il corso affollato di negozi e ristoranti, venditori di kebab e giovanissimi sciuscià che sta nel cuore nevralgico di Istanbul. “In Italia, la musica delle bande rappresenta la memoria della nazione. E' un po' l'equivalente dell'opera espressa in forma popolare. Ed è la musica di strada per antonomasia” ha spiegato Luigi Cinque, il compositore e musicista che, con la collaborazione del percussionista Gianluca Ruggeri, ha coordinato il nostro intervento allo spettacolo, voluto dall'Istituto Italiano di Cultura a Istanbul e dal suo direttore Silvio Marchetti. E per le strade della metropoli turca, melting pot a crescita demografica esponenziale in cui si addensano oggi 15 milioni di persone, le band italiane si sono mescolate alla folla e agli ensemble provenienti dalle altre nazioni, in un happening colorato e chiassoso che ha ricordato da vicino – nello spirito, se non nelle musiche – le esibizioni delle marching bands che animano tradizionalmente le vie di New Orleans. .
Forza trascinante della manifestazione, se non altro per la quantità dei musicisti coinvolti (oltre sessanta) e la varietà delle proposte, il contingente italiano: con l'ensemble romano della Banda “Arturo Toscanini” (da Settecamini, Roma) a tenere alta la bandiera della tradizione bandistica, tra marce da parata e ouvertures d'opere verdiane e rossiniane, e poi le percussioni del gruppo Ars Ludi, i tamburelli del trio Arabia Felix, i toni etno-jazz dei sassofonisti-battitori liberi Gavino Murgia e Luigi Cinque, le launeddas di Carlo Mariani e del suo gruppo e le danze rituali dei Mamuthones (sardi (gruppo di ballo Peppino Beccoi-Mamoiada) a dipanare il filo di un percorso culturale integrato, per quanto possibile, in una rappresentazione scenico-musicale coerente: le suggestioni primordiali evocate da questi ultimi, addobbati in maschera, pelle nera di pecora (mastruca) e pesantissimi campanacci sulle spalle a dispetto della calura estiva e accompagnati dai lanci di soha (lacci) degli Issohadores in corpetto rosso tradizionale, hanno rappresentato il top spettacolare dell'evento, richiamo ad una tradizione ancestrale che rimanda alla vita nelle campagne sarde di milioni di anni fa e da cui è partito il progetto di contaminazione voluto da Cinque, ben esemplificato la sera prima da una breve performance nel teatro dell'Istituto di Cultura in cui si son mescolati con fluidità canto arcaico (l'impressionante “voce bassu” di Murgia) e jazz, tammurriata e loop ritmici elettronici.
Il resto del programma ha trasmesso segnali altrettanto multiformi. Tra gli impeccabili svolazzi strumentali del quintetto d'ottoni austriaco Sonus Brass, elegante e iper-professionale, e l'esuberanza goliardica di La Pena Varenquas (Francia) e Tatara (congrega di diciotto musicisti tedeschi con l'argento vivo addosso), i movimenti coreografici e le dinamiche orchestrazioni degli olandesi Advendo-Sneek e le ipnotiche percussioni etniche degli anglo-indiani Dhole Foundation, le bande municipali di Istanbul e di Salonicco (Grecia), si è sentito di tutto: swing e funk, musica da cinema e rhythm and blues, canzonette pop e arie d'opera, il “Blue rondo a la turk” di Dave Brubeck e Glenn Miller, i Beatles e i Drifters, “Money” degli Abba e “Summer in the city” dei Lovin' Spoonful, Rota e Morricone, motivi tradizionali e inni nazionali (italiano e turco). Esperimento riuscito, nelle premesse “ideologiche” (testimoniare le molteplici realtà e la vitalità delle musiche di strada) e nei risultati. E divertimento assicurato. Pensando alle “marching bands”, da oggi, non ci verrà in mente soltanto Bourbon Street. .