Rockol l'ha incontrato sul set del nuovo video, che viene girato in questi giorni a Milano con la direzione di Riccardo Struchil per la DropOut - Officina dell'Immagine.
Fra un ciak e l'altro, CapaRezza ci ha raccontato com'è nato il suo nuovo disco, il secondo per l'appunto. Il secondo album, come recita il ritornello del singolo, “è sempre il più difficile nella carriera di un artista”.
“Questa frase è vera solo in un caso”, ci spiega il rapper, “ossia quello in cui il secondo disco sia l'ultimo. Allora è difficile davvero. E comunque è solo una cavolata retorica… Anche se, nel mio caso, si è rivelata reale perché è stato difficile sul serio fare questo album… Sicuramente più difficile dell'altro!”.
E non per l'ansia da prestazione e le conseguenti pressioni che il buon successo di “?!” poteva creare in lui, come ci racconta il cantante, ma per motivazioni più tecniche: “Il primo album era molto casalingo come situazione”, dice CapaRezza, “era fatto in casa, quasi tutto con l'ausilio di campionamenti e di beat; mentre in questo nuovo, che è nato dopo l'esperienza che mi sono fatto suonando in giro con la band, mi sono avvicinato anche agli strumenti; la situazione è diventata così più complessa. Per questo ho voluto la collaborazione di Carlo U. Rossi, che è un produttore molto bravo da cui ho imparato tanto”.
Più di tutto, nell'arte come nella musica, CapaRezza teme quelli che lui chiama “i paletti”, ovvero le classificazioni di genere e di appartenenza che creano delle aspettative in chi ascolta e in chi crea e finiscono con l'incatenare e tarpare la creazione.
“Chi ha molti fan”, argomenta il rapper, “ha infatti paura di deluderli: l'aspettativa è nemica dell'arte”.
Nel nuovo video, girato in due set distinti ma adiacenti, si mette in scena proprio questa situazione: CapaRezza recita il ruolo di un artista alle prese con i problemi e le difficoltà che la creazione gli pone; chiuso in uno scantinato, il rap partorisce delle opere “sui generis” (realizzate con spaghetti al pomodoro rovesciati su di una tela, per esempio) che vengono poi ammirate dai critici, nella seconda parte del clip, in un' immacolata galleria d'arte.
“Ed è proprio in quel momento”, ci spiega il cantante, “che l'artista si rende conto del fatto che ciascuna persona vede dentro le sue opere delle cose diverse: ciascuno ha delle percezioni diverse degli oggetti. Ciascuno possiede infatti una propria verità e un proprio modo di vedere le cose: non esiste una verità assoluta. E, queste verità personali, sono le famose 'verità supposte' cantate nell'album”.