Concerti, Killers (+ Stereophonics): la recensione di Milano
Curioso l’abbinamento di queste due band. Da una parte gli
Stereophonics
, gruppo rock gallese cresciuto negli anni '90, immerso nel brit-pop dove, tra diverse proposte più o meno simili, gli Oasis la facevano da padrone. A quell’epoca non stonavano poi così tanto in quel contesto, ma ben presto fu chiaro che di tutte quelle band, loro erano quelli più vicini al rock di stampo statunitense. Dall’altra i
L’errore più facile da commettere sarebbe perciò quello di approcciare al concerto di apertura degli Stereophonics come se fossero dei semplici supporter o una band ormai prossima al ritiro. Che non è così si può intuire sin dall’attacco. Alle 20:20 la band di Kelly Jones si presenta sul palco decisa e senza fronzoli attacca con " Catacomb", la canzone più heavy del loro ultimo lavoro ("Graffiti on the train" uscito a marzo di quest’anno). La voce di Kelly Jones è inconfondibile, leggermente roca e tagliente, si diffonde perentoria mentre la gente dei Killers sta arrivando gradualmente. Peccato per i ritardatari, si perderanno un’ora di grande rock. Sul palco oltre al trio base composto da Kelly Jones, Richard Jones e Adam Zindani, c’è un nuovo batterista ,Jamie Morrison, e alle tastiere Tony Kirkham. I cinque sanno suonare e hanno mestiere da vendere. Faranno sopratutto canzoni dell’ultimo album, dimostrando coraggio e convinzione, e nel contempo un ultimo lavoro in studio evidentemente ben riuscito. Nel live trovano spazio sia canzoni di rock puro, sia ballate strappalacrime, che momenti più blues. E La gente risponde bene, oltre alle poche persone davanti che sono lì per loro, anche il pubblico che non conosce il repertorio batte il piede e applaude. E’ questo un grande pregio della band: scrivono canzoni semplici ma dirette, classiche ma con linee melodiche non banali che possono tranquillamente piacere al primo ascolto. Prendiamo per esempio
Killers
, band americana di Las Vegas, che invece ha come contesto di confronto band inglesi come Kasabian, Franz Ferdinand o Muse.
Anche dal punto di vista del successo sono opposte, gli Stereophonics ora come ora sono conosciuti ai più come una band che ha pubblicato due grandi classici e niente più , mentre i Killers hanno visto crescere il loro pubblico a dismisura fino ad arrivare a riempire i palazzetti d’Europa e ad essere headliner di numerosi festival nel mondo.
L’errore più facile da commettere sarebbe perciò quello di approcciare al concerto di apertura degli Stereophonics come se fossero dei semplici supporter o una band ormai prossima al ritiro. Che non è così si può intuire sin dall’attacco. Alle 20:20 la band di Kelly Jones si presenta sul palco decisa e senza fronzoli attacca con " Catacomb", la canzone più heavy del loro ultimo lavoro ("Graffiti on the train" uscito a marzo di quest’anno). La voce di Kelly Jones è inconfondibile, leggermente roca e tagliente, si diffonde perentoria mentre la gente dei Killers sta arrivando gradualmente. Peccato per i ritardatari, si perderanno un’ora di grande rock. Sul palco oltre al trio base composto da Kelly Jones, Richard Jones e Adam Zindani, c’è un nuovo batterista ,Jamie Morrison, e alle tastiere Tony Kirkham. I cinque sanno suonare e hanno mestiere da vendere. Faranno sopratutto canzoni dell’ultimo album, dimostrando coraggio e convinzione, e nel contempo un ultimo lavoro in studio evidentemente ben riuscito. Nel live trovano spazio sia canzoni di rock puro, sia ballate strappalacrime, che momenti più blues. E La gente risponde bene, oltre alle poche persone davanti che sono lì per loro, anche il pubblico che non conosce il repertorio batte il piede e applaude. E’ questo un grande pregio della band: scrivono canzoni semplici ma dirette, classiche ma con linee melodiche non banali che possono tranquillamente piacere al primo ascolto. Prendiamo per esempio
"Violins and Tambourines", canzone centrale dell’ultimo lavoro, nonchè una delle più complesse. E’ un brano che comincia intimo, voce sicura ma dimessa, arpeggio di chitarra semplice e batteria minimale. Parte del pubblico nel parterre si lascia andare al solito fastidioso chiacchiericcio ma con l’incedere della canzone le cose cambiano. Il giro di chitarra prende, il suono degli archi restituito live dalle tastiere si fa sempre più epico e drammatico, la batteria inizia a sostenere un altro ritmo, la voce di Kelly è sempre più sofferta ma cresce di volume e sul finale si infuria insieme a chitarra e basso. I chiacchieroni si fermano e rimangono piacevolmente catturati, sul finale esplode uniforme l’applauso di tutti. A momenti di forte impatto emotivo come questo, vengono alternate canzoni più leggiadre come il pop solare di
"Indian Summer", o il blues scanzonato e ubriaco (lo dice la band stessa) di
"Been Caught Cheating", che trasporta mentalmente i milanesi nelle atmosfere di un pub di provincia. E poi chiaramente due grandi classici come
"Have a Nice Day"
e
"
Maybe Tomorrow"
che vengono riconosciute e cantate più o meno da tutti. Il concerto si conclude con una canzone da viaggio automobilistico come
"
Dakota": l’entusiamo è convinto e sincero, e gli applausi sono decisamente meritati per una band che sicuramente ha avuto troppo poco in quindici anni di carriera rispetto a quello che si è sempre meritato, sia in studio che dal vivo.
"Read My Mind" ,"Spaceman", "Human", "Smile Like You Mean It", "Somebody Told Me"
hanno un impatto emotivo talmente coinvolgente sulla folla da far sbiadire i difetti tecnici. La cover dei Joy Division,
"Shadowplay", è di per sè una bomba. Brani nuovi come
"Runaways" o "Miss Atomic Bomb"
risultano ben incastonati nella scaletta e piacevolmente accolte da un pubblico che le conosce tranquillamente a memoria. Proprio queste due canzoni poi sono degli ottimi esempi per contestualizzare i visual, co-protagonisti del live in diversi momenti; nella prima riproducono una strada percorsa a tutta velocità in soggettiva, e nella seconda delle esplosioni video, che a sorpresa diventano esplosioni artificiali sul palco. Canzoni come
"All These Things That I’ve Done"
e
"
When You Were Young", scelto come brano di chiusura, evidenziano la peculiarità dei brani di Brandon e soci nell’essere accompagnati dai cori del pubblico, parte integrante della performance alla stregua di qualsiasi altro elemento che costituisce lo show della band di Las Vegas. Ed è questo il lato più apprezzabile della band, la capacità di creare canzoni, più o meno riuscite, che in ogni caso hanno il tiro giusto e una facile cantabilità. Questo rende il loro live una festa collettiva. La proposta musicale tra brani più dance, aperture più pop, e momenti più intimi è molto compatta ed omogenea. Per un non fan probabilmente un live troppo povero di variazioni, per un appassionato un live in cui non c’è un solo calo di tensione.
Menzione a parte va fatta per una cover di "Nel Blu Dipinto di Blu" (versione Dean Martin) introdotta dalle note al piano di "C’era Una Volta una Gatt"a. Che sia uno dei momenti più alti o più bassi del live, lascio ai lettori decidere.
Catacomb
Local Boy in the Photograph
Superman
Graffiti on the Train
Indian Summer
Have a Nice Day
We Share the Same Sun
Could You Be The One?
Roll the Dice
Violins and Tambourines
Been Caught Cheating
Maybe Tomorrow
Dakota
Spaceman
The Way It Was
Smile Like You Mean It
Bling (Confession of a King)
Shadowplay (Joy Division cover)
Miss Atomic Bomb
Human
Somebody Told Me
Here With Me (Human acoustic snippet intro)
For Reasons Unknown
From Here On Out
A Dustland Fairytale
Volare (Nel Blu Dipinto di Blu) (Dean Martin cover)
Read My Mind
Runaways
All These Things That I've Done
Encore:
Jenny Was a Friend of Mine
When You Were Young
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