Raid dell'Enpals nelle case discografiche: si riapre la guerra sui contributi
Dopo una serie di sentenze che suffragavano la tesi sostenuta dall’industria discografica (secondo cui si può parlare di “spettacolo”, e quindi di obbligo contributivo, solo in presenza di un pubblico), una recente sentenza della Cassazione ha rimesso la questione al giudizio della Corte di Appello di Brescia riaprendo il contenzioso: tanto che funzionari dell’Enpals si sono nuovamente presentati, nei giorni scorsi, negli uffici delle maggiori case discografiche italiane (tutte le major, e indipendenti come New Music, Zomba e V2) per ispezionarne la documentazione fiscale ed accertare l’entità dell’ “evasione”: questa volta, però, l’ente previdenziale si è spinto più in là ed esige il pagamento di contributi anche sulle royalty previste dai contratti stipulati con gli artisti (anche deceduti o non più in attività, stando a quanto racconta la controparte).
All’origine del conflitto ci sono norme previdenziali di controversa interpretazione e promesse mai mantenute di riforma dell’Enpals: ed ora la FIMI invoca un incontro urgente con il ministro del Lavoro Maroni per portare tutte le categorie interessate intorno ad un tavolo istituzionale, oltre ad una moratoria che faccia immediatamente cessare le ispezioni.
“E’ inaccettabile – ha dichiarato a Rockol il direttore generale della federazione dei discografici, Enzo Mazza – che, in assenza di chiarimenti normativi, l’Enpals forzi la mano producendosi in ispezioni e richieste di contributi milionari che daranno origine a nuovi ed infiniti procedimenti giudiziari, recando ulteriore danno ad un settore già in stato di crisi”. “E’ il colmo”, aggiunge, “che si tratti alla stregua di un evasore fiscale un comparto industriale che per il 25 % è in mano ad operatori illegali che non pagano nessuna imposta allo stato”. .
Rockol ha cercato di entrare in contatto con la sede Enpals di Milano per una replica: ma ai numeri di telefono milanesi dell’ente, oggi (12 novembre), non rispondeva nessuno.