Houston contro Houston: la società del padre vuole 100 milioni di $ da Whitney

La diva afroamericana, in procinto di pubblicare il suo nuovo album, ha un nemico in casa: si tratta del padre, o meglio della società che porta il suo nome, John Houston Entertainment. La ditta ha citato in giudizio la cantante dall’ugola d’oro accampando pretese economiche del valore di 100 milioni di dollari per una serie di servizi che l’artista e il suo entourage non avrebbero mai ricompensato.
“Non potevamo considerarsi propriamente i suoi manager, ma lo eravamo di fatto”, ha ribadito davanti ai giornalisti Kevin Skinner, il socio d’affari di Houston che sostiene di parlare anche a nome del padre di Whitney. Nell’atto di citazione, Skinner ricorda che la John Houston Entertainment svolse un ruolo cruciale nell’evitare grane giudiziarie alla pop star dopo il celebre episodio accaduto nel gennaio del 2000 all'aeroporto di Kailua Kona (Hawaii), quando gli addetti ai controlli doganali ritrovarono 15 grammi di marijuana nella sua borsetta (vedi news), nonché nel procurarle un nuovo, lucrativo contratto a lungo termine con la Arista Records (del valore, anch’esso, di 100 milioni di dollari). La quota dei proventi della Houston a loro spettante era del 20 %, ha rivelato l’uomo d’affari americano, superiore alla percentuale standard in uso negli Stati Uniti: “Ma senza di noi – ha aggiunto Skinner – Whitney non avrebbe avuto pubblicisti, commercialisti, avvocati e neppure una casa. Sarebbe finita in bancarotta”.
Resta da chiarire la posizione di John Houston, preso tra due fuochi. Skinner e la portavoce Sonia Johnson ribadiscono che l’uomo sta dalla loro parte, e che è determinato a riscuotere quanto gli spetta. Mentre la rappresentante della cantante, Nancy Seltzer, giura di avere avuto assicurazioni da John che lui in questa vicenda non vuole entrarci. Mistero fitto: ma intanto in casa Houston è di nuovo tempesta.
“Non potevamo considerarsi propriamente i suoi manager, ma lo eravamo di fatto”, ha ribadito davanti ai giornalisti Kevin Skinner, il socio d’affari di Houston che sostiene di parlare anche a nome del padre di Whitney. Nell’atto di citazione, Skinner ricorda che la John Houston Entertainment svolse un ruolo cruciale nell’evitare grane giudiziarie alla pop star dopo il celebre episodio accaduto nel gennaio del 2000 all'aeroporto di Kailua Kona (Hawaii), quando gli addetti ai controlli doganali ritrovarono 15 grammi di marijuana nella sua borsetta (vedi news), nonché nel procurarle un nuovo, lucrativo contratto a lungo termine con la Arista Records (del valore, anch’esso, di 100 milioni di dollari). La quota dei proventi della Houston a loro spettante era del 20 %, ha rivelato l’uomo d’affari americano, superiore alla percentuale standard in uso negli Stati Uniti: “Ma senza di noi – ha aggiunto Skinner – Whitney non avrebbe avuto pubblicisti, commercialisti, avvocati e neppure una casa. Sarebbe finita in bancarotta”.
Resta da chiarire la posizione di John Houston, preso tra due fuochi. Skinner e la portavoce Sonia Johnson ribadiscono che l’uomo sta dalla loro parte, e che è determinato a riscuotere quanto gli spetta. Mentre la rappresentante della cantante, Nancy Seltzer, giura di avere avuto assicurazioni da John che lui in questa vicenda non vuole entrarci. Mistero fitto: ma intanto in casa Houston è di nuovo tempesta.
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