Azoff si sarebbe alleato nella circostanza con Tim Leiweke, capo della Anschutz Entertainment, con l’obiettivo di annettere l’organizzazione concertistica di HoB alle proprietà del medesimo gruppo, una delle realtà emergenti nel panorama USA della musica dal vivo; ma l’eredità House of Blues farebbe gola anche ad altri imprenditori dalle tasche capaci, primo fra tutti l’ex numero uno di Tickemaster Fred Rosen.
A seguito di diversi tentatiti falliti di cedere il suo patrimonio (il principale dei quali ha coinvolto la leader del mercato live americano SFX, ora Clear Channel), sembra che ora il consiglio di amministrazione della società e il suo finanziatore principale, la Chase Capital, siano disposti ad accettare una cifra decisamente inferiore a quella inizialmente fissata per la vendita, scendendo dai 350 milioni di dollari iniziali a 250 milioni, poco meno di 286 milioni di €: anche perché gli eventuali compratori, secondo alcune fonti, sarebbero interessati ad acquisire dall’attuale proprietà solo la struttura che organizza i concerti, e non il circuito di locali che la House of Blues gestisce in diverse città americane.
Azoff, intanto, porta avanti su binari paralleli la sua battaglia “politica” contro l’industria discografica, affiancandosi a Don Henley, Sheryl Crow, Dixie Chicks e gli altri artisti promotori della Recording Artists Coalition.
E in una intervista concessa nei giorni scorsi al sito HITS Dailydouble ha manifestato il suo pensiero: “Il vecchio modello di business su cui poggiava l’industria musicale è morto e sepolto”, ha detto senza mezzi termini il manager. “Le case discografiche si appigliano ancora a un sistema che negli anni scorsi aveva permesso loro di accumulare grandi fortune con le vendite dei CD, solitamente a scapito degli artisti che continuavano a ricevere le stesse royalty di un tempo. Ma oggi quel meccanismo non funziona più, e non ha più senso legare un artista con contratti da sette, anche dieci album oggi che il ciclo produttivo di un disco dura almeno due anni”. .