L’anticipazione è stata fornita all’agenzia stampa americana dallo stesso Henley, uno dei leader del movimento che si batte per l’introduzione di regole contrattuali meno stringenti nei rapporti tra artisti ed etichette musicali, così come avviene negli altri settori dello spettacolo americano. Il celebre musicista ha aggiunto che l’ipotesi di un’inchiesta parlamentare sul tema è già stata discussa dai diretti interessati con diversi rappresentanti democratici del Senato e del Parlamento californiano al fine, nelle sue parole, di “gettare luce su un altro angolo oscuro dell’industria”.
In prima linea nello schieramento politico avverso all’industria discografica c’è ancora una volta il senatore democratico Kevin Murray, lo stesso che propone l’abolizione dell’emendamento di legge che consente alle case discografiche di prolungare oltre i sette anni di durata gli obblighi contrattuali degli artisti.
Murray ha confermato alla Reuters la sua intenzione di tenere una serie di udienze, a partire dalla prossima primavera, per accertare se, come sostengono molti artisti, le case discografiche sono solite occultare nei rendiconti le vendite di dischi e i diritti maturati dagli artisti in modo da sottopagare le royalty. “Gli auditor che gli stessi artisti pagano per verificare come stanno le cose – ha detto Murray - ci dicono che ad ogni controllo si scopre che i pagamenti sono stati inferiori al dovuto: c’è da pensare che non si tratti di errori in buona fede ma che ci sia la volontà di derubare gli artisti”. Secca la replica di Hilary Rosen, in rappresentanza dell’associazione dei discografici americani RIAA: “Si tratta di accuse sensazionalistiche – ha detto il presidente dell’organizzazione di categoria – dettate da valutazioni emotive e prive di fondamento". .