“Forse un giorno suoneremo dal vivo anche in Italia”, spiega con tono speranzoso Neil, ormai scivolato come uno strofinaccio usato sulla poltrona di velluto verde, “se mai voi italiani doveste decidere di accogliere il nostro disco con entusiasmo… vi prego, fatelo!”. L’atmosfera si distende maggiormente, a dimostrazione di come il non aver ancora ottenuto pienamente ciò che si vuole e desidera dal proprio pubblico, renda le persone più cordiali e disponibili.
Tuttavia, i Divine Comedy non sembrano arroganti di natura, come molti colleghi; al contrario, accolgono tutte le domande – anche quelle più scontate– con la stessa cura e precisione, rispondendo nel modo più esaustivo possibile. Anche se, bisogna ammetterlo, è divertente vedere come ti accolgono dubbiosi, scrutandoti con sguardi discreti ma interrogativi mentre tentano di capire chi hanno di fronte; ed è altrettanto piacevole vedere che poi, se sei il loro tipo, ti trascinano in una vorticosa e irresistibile serie di scherni e aneddoti prettamente personali, coinvolgendoti persino in una conversazione post intervista – seria – su quanto il calcio sia lo sport più emozionante al mondo: “La Juventus… ah!, ah!, ah!… pensa che in Inghilterra c’è gente che teneva per la tua squadra invece che per il Manchester… e faceva bene!”.
I Divine Comedy sono talmente simpatici che quasi dispiace che la loro musica non sia ancora popolare nel nostro Paese, nonostante l’impegno che ha da sempre caratterizzato una lunga carriera, portandoli a contatto con personaggi di grande fama e importanza, come Pet Shop Boys, Robbie Williams, R.E.M., Tom Jones e, infine, Nigel Godrich, produttore dei Radiohead: “Per realizzare il nostro ultimo album, ‘Regeneration’, avevamo preparato una lista con diversi nomi a cui attingere, ma alla fine abbiamo scelto Nigel, che ci conosceva già e che amava le nostre canzoni, ma non il modo in cui suonavano. Questo è stato fondamentale, e abbiamo subito capito che il suo apporto avrebbe dato un’atmosfera totalmente diversa alla nostra musica, completamente distante da ciò che finora abbiamo fatto. E, poi, ci ha confessato di essere stufo del legame troppo stretto con i Radiohead. Questa è stata un’ulteriore garanzia: non avrebbe voluto trasformare i Divine Comedy in un altro clone di Thom Yorke e compagnia, ma in un gruppo con sonorità personali. Finalmente la nostra musica ha raggiunto il bivio decisivo, trasformandosi, in modo pacato, in un rock più diretto, senza troppi fronzoli”.
L'intervista completa al gruppo verrà pubblicata da Rockol nei prossimi giorni.