Cave si siede al piano a coda, e attacca lo Steinway: l’inizio del concerto è una violenta versione di “West country girl”. Una canzone, e la musica volge alla melodia, con “Henry Lee” e “Into my arms”: Cave interpreta con una passione che è difficile descrivere a parole, con la sua voce scura e possente. La platea è ammutolita, qualcuno poco dopo prova ad alzare la voce per fare qualche richiesta, subito zittita da un altro urlo del pubblico, “fa quello che vuoi!”. Cave sorride, tira dalla sigaretta e si rimette al piano, offrendo una epocale versione di “The mercy seat”, rallentata ma non meno drammatica rispetto alla versione originale. C’è anche spazio per una nuova canzone, “And no more ‘shall we part’”, poi il set si chiude con “Ship song”, la canzone centrale di quel disco che ne segnò la svolta melodica, “The good son”.
Cave, visibilmente sudato anche per un fastidioso raffreddore, lascia la platea ma viene richiamato a forza. E suona l’ultima canzone, che lo riporta ai temi familiari già accennati nel pomeriggio in conferenza stampa. “Papa won’t leave you Henry”, spiega è stata composta come ninnananna per il figlio. Certo, un modo particolare di mettere a dormire un ragazzino, degno di un voce unica nel panorama musicale odierno. Averne, di padri così…