Sul “Corriere della Sera” è Andrea Laffranchi a occuparsi del “fenomeno” Moby, da lui definito “il nuovo genietto della musica pop”. “Sale sul palco con la maglietta ‘Cancella il debito’, slogan del festival, jeans e scarpe da ginnastica. E con la band (una donna al basso, un batterista, un deejay e una corista) inizia a miscelare suoni da re del ‘taglia e incolla’ musicale quale è. I primi applausi arrivano con la dolce ‘Porcelain’ alla quale segue un brano da ‘007 - Il domani non muore mai’. Quindi il suo primo successo ‘Go’ targato 1991, quello che fece ballare i club di tutto il mondo con un campionamento di ‘Twin Peaks’. E ancora ‘Why does my heart feel so bad’ (toccante come sul disco), ‘Body rock’ e ‘Honey’. Sul palco, come in studio, suona di tutto. Si sente un musicista, non un deejay come spesso viene etichettato: ‘Ho iniziato a 8 anni con la chitarra classica. A 14 anni ero in un gruppo punk rock, poi ho imparato a suonare da autodidatta gli altri strumenti’”.
Sul “Giorno”, Chiara Di Clemente definisce Moby “un giovane topino newyorchese, mai lo noteresti tra la folla, nemmeno nella fase più triste e masochista della tua esistenza. Eppure Moby è un artista sterminato: ricercatore frenetico e al contempo venditore di best-seller (‘Play’, 1999, è di platino) (...). Ed è un pensatore, Moby, di quelli particolari che aspirano alla gentilezza. Alla limpidezza”. E poi riporta alcune dichiarazioni del musicista a proposito di fede: “Credo nel fatto che io ho 34 anni e vivo in un universo molto ma molto più vecchio di me. Se non altro credo che se dio esistesse sarebbe molto più vecchio di me”.