«Un po' di merito credo di averlo, sì — dice ridendo Shankar — . Per secoli la musica dell'India è rimasta isolata, negli ultimi 30 anni è diventata patrimonio di tutti. E' bello sapere che esistono gruppi come i Kula Shaker che mescolano influenze indiane al rock».
Come? Lei conosce i Kula Shaker?
«Certo, è mio dovere rimanere al passo con i tempi».
Segue anche la musica italiana?
«Sì, ma qui sono poco aggiornato: amo soprattutto Vivaldi».
Il suo concetto di musica, è lo stesso di 30 anni fa?
«Sì, continuo a credere che la musica debba essere melodia e ritmo, fonte di disciplina spirituale per realizzare se stessi».
Che ricordi ha della sua esibizione al festival rock di Monterey, nel 1967?
«Fu un'esperienza bella, ma anche l'inizio della fine di tutto: da allora festival e musica diventarono una scusa per droga e delinquenza, e poi rimasi sconvolto quando Hendrix e gli Who sfasciarono i loro strumenti».
Ravi , a 80 anni come fa ad avere ancora voglia di suonare in giro per il mondo?
«Non posso stare senza andare in tour, il sitar è la mia vita. A Bologna suonerò quattro raga, musiche senza età, musiche di casa mia»”.