Giuseppe Videtti su “Repubblica” intervista Patti Smith, chiamandola a casa, a Soho; una casa di cui ci viene restituita l’atmosfera, a metà strada tra fornelli e canzoni: “Telefonare a Patti Smith nella sua casa a Soho, il quartiere degli artisti di New York, è come chiamare una vecchia compagna di scuola che sfaccenda per casa e tra una chiacchiera e l'altra non la smette di accudire i figli, dare consigli al marito e aprire la porta al postino per una raccomandata. ‘Ecco i soldi per il cinema. E non dimenticare il resto’ dice a Jessie, 12 anni, la più giovane dei due figli avuti da Fred ‘Sonic’ Smith (il maggiore, di 18 anni, si chiama Jackson), il marito morto nel 1994. Oliver Ray, il suo attuale compagno (lui 26 lei 52 anni), sta improvvisando qualcosa alla chitarra nella stanza accanto”. Oltre a parlare dei concerti estivi che la vedranno in tour negli Usa e del recente album “Gung Ho” (“Questo disco vuole essere esattamente l'opposto di ‘Horses’, il mio esordio del '75, elitario e introverso. Gung Ho ridà la parola alla gente, la incita, ne solletica l'orgoglio, la spinge ad alzare la voce, ad acquistare consapevolezza dell'energia individuale oltre che di quella collettiva"), qualche battuta viene scambiata anche a proposito della sua biografia scritta da Victor Bockris, “Patti Smith, poetessa del rock”: “trovo assolutamente insulsa la biografia scritta da Bockris. Quel signore non mi conosce. L'ho incontrato una volta, per un'intervista. Era il 1977. Da allora non l'ho mai più visto. Né ho mai ricevuto una sua telefonata in cui mi chiedesse delucidazioni per la compilazione di una biografia. Ma, al di sopra di tutto, è sconcertante la povertà della forma letteraria con cui si esprime. Se ho intenzione di scrivere io la mia storia?. No, diamine. Non sono ancora così vecchia per farlo".
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