«Ora che la sintesi tecnologica sta consegnando al Duemila una marmellata sonora alla quale si può dare impunemente qualsiasi nome - e se dici popmusic la remissione dei peccati è garantita - meno male che ci sono gli anniversari, che ci aiutano a recuperare tracce differenziate d'identità dentro il pasticciaccio ecumenico della musica post-industriale. Di questi anniversari in fondo rassicuranti, ce ne stanno sfilando da presso addirittura due. (...) Ben poco si potrebbe trovare per mettere assieme due personaggi tanto assurdamente diversi tra di loro, se non fosse per la contiguità dei giorni di calendario delle loro morti. Eppure, quello che comunque li accomuna è il valore simbolico della loro storia individuale, la capacità che l'uno e l'altro hanno avuto - il punkettaro trasgressivo e il pioniere rocker - di segnare un'epoca della lunga stagione giovanile, intrecciando musica e sociologia come nemmeno Adorno sarebbe stato capace di teorizzare.
Buddy Holly è la preistoria. Cantava e suonava quando la musica dei ragazzi si chiamava ancora Perry Como, Frankie Lane, Eddie Fisher, e l'orchestra era quella di Perez Prado. Certo, sullo sfondo stavano arrivando due locomotive dirompenti come Bill Haley (& His Comets) ed Elvis Presley, soprattutto Elvis Presley; ma il ragazzino di provincia Buddy, con quegli occhialoni neri e la sua aria tanto perbene, tentava d'inventare un rock che sapesse suonare alle orecchie delle matricole delle highschools senza doversi scontrare a forza con la furia sessuomane di Elvis The Pelvis. Le cronache dell'epoca giurano che fu il primo a fissare quella che poi sarebbe stata la formazione obbligata delle bande rockettare, con le due chitarre il basso e la batteria; comunque fu un vero sperimentatore della nuova musica giovanile, provando e riprovando su stili e partiture di varia origine, dal country all'hillbilly, dal bluegrass allo swing e al blues di campagna. (...) Buddy Holly morì troppo giovane per poter essere qualcosa più che la sua stessa leggenda. Buddy diventò il culto della gloria sfiorata ma mai veramente acchiappata, mito eterno dei bisogni adolescenziali; se ne fecero film, musical, libri di successo, e un Buddy Holly Music Festival che ancora ogni anno restituisce alla memoria l'eco di quella voce che singhiozzava le pene d'amore dei freshmen. (...)
Con Sid Beverley "Vicious" il mondo giovanile non è più la prateria incantata delle prime pulsioni rockettare. Ora - e siamo nei duri Anni Settanta - i ragazzi di Londra vivono per tutti il disagio di una crisi economica che sfascia famiglie e progetti, che mescola pauperismo e razzismo metroplitano, che incendia le strade sotto la rabbia dell'impossibilità dei desideri. I vecchi miti sono crollati, la quotidianità esalta soltanto la delusione, l'odio sociale, il disprezzo generazionale. I Sex Pistols di Malcolm McLaren si fanno bandiera di questa intrattabile marginalità; e la loro furiosa "God Save The Queen", invece d'essere l'inno del genetliaco della regina Elisabetta diventa il proclama musicale della rottura e della ribellione contro ogni contaminazione istituzionale. Spilloni infissi dovunque nella pelle, capelli colorati da tinte violente, borchie, sputi, calci al mondo - la protesta si veste di abiti teatrali e di un rock metallaro, assordante quanto volgare. Il gesto vince sulla ideologia, e il viaggio nella siringa dell'eroina accompagna l'obbligo dell'autodistruzione. (...)
Buddy Holly chiudeva il mondo del dopoguerra, e apriva l'avventura felice del boom degli Anni Sessanta. Sid Vicious seppelliva quell'avventura felice, per rivelare l'ipocrisia delle illusioni che l'avevano sostenuta. Ringraziamo gli anniversari. Oggi i "santini" di quei due antichi eroi restituiscono al mondo della marmellata musicale una dignità fuori moda».